Legittimo l’affidamento su Trust e servizi informatici ma solo con evidenza pubblica

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Legittimo l’affidamento su Trust e servizi informatici ma solo con evidenza pubblica

Rientrano tra i servizi del Codice dei contratti pubblici la gestione del sito Internet di un Tribunale, la messa a disposizione di personale destinato ai compiti d’informatizzazione ed assistenza, ed anche la gestione della pubblicità delle aste. Inoltre l’utilizzo del trust per regolare i rapporti privatistici è del tutto legittimo, e non può in alcun modo giustificare la presunzione di un accordo in frode alla legge italiana o in contrasto con l’ordine pubblico, neppure quando il disponente scelga di assoggettare il trust alla legge di un altro Paese. Eventuali abusi del diritto, finalizzati al raggiungimento di fini illeciti, devono essere puntualmente dimostrati. In tal senso, le norme speciali potrebbero impedire il raggiungimento di alcuni effetti del trust, a tutela di determinati interessi pubblici. Una simile limitazione non è però rinvenibile nella materia degli appalti e delle concessioni di servizi, dove al contrario vige il principio della libertà delle forme organizzative, per favorire la massima apertura alla concorrenza. È quanto afferma il Tar Lombardia, sezione Brescia, con la sentenza n. 244 del 10 novembre 2014.

La controversia conosciuta dal Tar ed il contenuto della relativa decisione

Con lettera del 16 ottobre 2013, alcune società specializzate in sistemi informatici venivano invitate dal Tribunale di Bergamo a partecipare alla procedura indetta per l’individuazione del soggetto incaricato di assicurare l’informatizzazione delle procedure concorsuali ed esecutive. In particolare, l’incarico riguardava: lo sviluppo e manutenzione del sito Internet del Tribunale e la pubblicità delle aste immobiliari e mobiliari. Entrambi i servizi non prevedevano oneri economici in capo all’amministrazione aggiudicante, bensì obblighi remunerativi in capo ai soli creditori procedenti, nonché alle curatele fallimentari. Ad aggiudicarsi i servizi è stato il Gruppo E.., rete d’imprese con forma di trust, come evidenziato dalla presenza di uno stretto vincolo di controllo interno. Con sentenza del 10 novembre 2014, il Tar Lombardia, sezione Brescia, accoglieva il ricorso, nella parte in cui qualificava la procedura avviata dal Tribunale di Bergamo come volta alla concessione di un pubblico servizio, come tale soggetta inoppugnabilmente al generale complesso delle norme di garanzia dell’evidenza pubblica. Inoltre, i giudici regionali si sono soffermati sull’ammissibilità, nell’ambito della disciplina dei contratti pubblici, del ricorso alla forma privatistica del trust, riconoscendone la piena operatività ogniqualvolta non si integrino abusi di diritto, tali da alterare il preminente equilibrio concorrenziale dei soggetti partecipanti alla procedura.

Processo telematico e nuovi servizi informatici: è necessario il ricorso al sistema dell’evidenza pubblica

La procedura di affidamento, al centro della controversia in esame, era volta a fornire al Tribunale di Bergamo quegli strumenti imprescindibili per rendere effettivo il passaggio al processo telematico, obbligatorio per le procedure concorsuali ed esecutive a partire dal 30 giugno 2014. In particolare, si trattava di valutare se, nell’affidare ad un soggetto esterno le attività di informatizzazione in materia esecutiva e concorsuale, l’autorità giurisdizionale avesse dovuto necessariamente rispettare le norme dettate dal Codice dei contratti pubblici in materia di evidenza delle gare. Nel caso in esame, i dubbi si sono concentrati preminentemente sulla configurabilità di un appalto o di una concessione di servizi. Come opportunamente rassegnato dai giudici del Tar Lombardia, è da prediligersi, nel caso de quo, la tesi della configurabilità di una concessione di servizi: la presenza di uno stretto collegamento strumentale tra i servizi informatici da svolgere e la funzione giurisdizionale pubblica; la destinazione del servizio a una vasta platea di soggetti diversi dall’amministrazione; la presenza del rischio a carico del solo concessionario (il quale sarà esposto agli eventuali inadempimenti dei creditori e delle curatele, senza poter rivalersi sull’amministrazione) fanno deporre in maniera inequivocabile verso la qualifica della procedura come volta alla concessione di un servizio pubblico. Appurato tale pregiudiziale elemento, la conseguenza non poteva che essere la sottoposizione della concessione alla generale disciplina dettata in materia di evidenza pubblica, e rassegnata nel Codice dei contratti pubblici: è principio da tempo stabilito nell’ordinamento comunitario (e pienamente acquisito e censito dalla giurisprudenza interna) quello secondo cui sono vietati gli affidamenti diretti, essendo necessario garantire trasparenza e parità di trattamento nella scelta dei concessionari. Tale evenienza non viene meno in presenza di un’attività non tipicamente amministrativa, poiché riconducibile a un diverso ed equivalentemente rilevante potere, quello giurisdizionale. Il riconoscimento di una componente amministrativa all’interno del provvedimento giurisdizionale, infatti, è da considerarsi pienamente coerente ed ammessa, poiché perfettamente rispettosa del principio di autonomia del giudice nel governo della procedura concorsuale o esecutiva, e non contraddittoria rispetto al caposaldo costituzionale della sua sottoposizione al solo dettato della legge.

Il trust nelle concessioni pubbliche: ammissibilità funzionale ed operativa

Stabilita l’imprescindibile necessità del ricorso ai crismi dell’evidenza pubblica, i giudici Tar si sono soffermati sull’utilizzabilità dello strumento del trust per la partecipazione ad un appalto o ad una concessione. Come detto, infatti, la società aggiudicatrice dei servizi informatici risultava essere una rete di cinque imprese, collegate da stretti vincoli di controllo interno: tre di esse, infatti, erano controllate dalle altre due. Come segnalato dai giudici del Tar, le norme che vietano l’intestazione fiduciaria nel Codice degli appalti (in particolare, l’articolo 38, comma 1-d, del Dlgs n. 163/2006) sono volte a prevenire infiltrazioni criminali nei soggetti che assumono la posizione di contraenti dell’amministrazione, e non possono avere alcun rilievo automatico, dovendo la loro applicazione essere collegata all’effettivo e concreto accertamento di abusi di diritto. In sostanza, dunque, il ricorso allo strumento privatistico del trust non deve essere interpretato come ontologicamente illegittimo. Esso, infatti, pur potendo astrattamente risultare incompatibile con diverse disposizioni speciali (come quelle in materia tributaria), non risulta essere aprioristicamente in contrasto con il settore specifico dei contratti pubblici, il quale, fondandosi sul generale principio della libertà delle forme organizzative, è volto a favorire la massima apertura alla partecipazione ed alla concorrenza. Ogniqualvolta si voglia dichiarare la contrarietà di un trust alle norme che presiedono alla legittimità della partecipazione a un pubblico appalto, dunque, non basterà addurre la forma organizzativa assunta: si dovrà motivare fondandosi su specifici e comprovati rilievi circa l’idoneità del trust a violare il complesso di norme che presiedono alla valutazione dei requisiti minimi di partecipazione.

Fonte: Il Sole 24 Ore

 

Studio Giuliano e Di Gravio

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