Conti esteri: con la chiusura della procedura di rientro dei capitali si stringe il cerchio intorno all’evasione internazionale

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Conti esteri, la nuova mappa dei controlli

Con la chiusura della procedura di rientro dei capitali si stringe il cerchio intorno all’evasione internazionale

Toccherà fare rotta verso Panama, Libano, Brunei o Trinidad e Tobago. Chiude stasera la porta della voluntary disclosure, puntando a superare i 4 miliardi di gettito, e per chi detiene ancora capitali all’estero sconosciuti al fisco si annunciano tempi duri. Le maglie per sfuggire ai controlli sono diventate (e diventeranno ancora di più nei prossimi mesi) sempre più strette. Per occultare oltreconfine le proprie ricchezze si dovrà fuggire in Paesi sempre più lontani e instabili, assumendosene il rischio.

Fine del segreto bancario 
Il segreto bancario è andato sgretolandosi in questi anni di crisi economica e finanziaria sotto la pressione dei Governi occidentali alle prese con l’erosione delle risorse pubbliche. La “tolleranza” verso modelli di pianificazione aggressiva, piani di ottimizzazione tributaria quando non di fenomeni di vera e propria fuga dei capitali all’estero, che drenano tra i 100 e 240 miliardi di dollari l’anno, in termini di gettito totale dai redditi di impresa, è stata spazzata via dallo scoppio dello scandalo dei mutui subprime e dal default di Lehman Brothers nell’autunno del 2008.
Da quel momento, mutuando sistemi di mappatura dei flussi di denaro attivati dopo l’11 settembre a fini anti-terrorismo e anti-riciclaggio, gli Stati Uniti hanno ingaggiato una lotta senza quartiere contro l’evasione internazionale, con a ruota i principali paesi dell’Unione europea. Gli Usa infatti il 17 gennaio 2012 hanno emanato la normativa Fatca (Foreign account tax foreign act), frutto di un procedimento avviato un paio di anni prima e preannunciato al G20 di Londra del 2009. L’obiettivo è quello di fermare l’evasione fiscale dei contribuenti americani, obbligando tutti gli intermediari finanziari stranieri a identificare e segnalare all’Irs (l’autorità fiscale di Washington) i clienti statunitensi.
L’Italia ha sottoscritto con gli Usa un accordo intergovernativo per recepire questa disciplina il 10 gennaio 2014. Disciplina entrata in vigore in Italia, così come negli altri Paesi che hanno aderito a intese bilaterali con gli Stati Uniti, tra cui Svizzera, Regno Unito, Germania, dal 1° luglio 2014.
Una firma derivata anche dall’alleanza antievasione siglata dai cinque maggiori europei per la costruzione di una «anagrafe» continentale dei conti correnti bancari. Ad aprile 2013 i ministri dell’Economia di Italia, Germania, Francia, Spagna e Gran Bretagna hanno inviato a Bruxelles una lettera per chiedere che in Europa le informazioni bancarie vengano scambiate, ai fini della lotta all’evasione, «automaticamente e obbligatoriamente» e non solo, come avvenuto tradizionalmente, sulla base di singole richieste e rogatorie sui sospetti contribuenti infedeli.
L’esigenza percepita dai governi europei è chiara: ampliare il più possibile su scala multilaterale lo scambio dei dati. Le manovre antielusive attuate da singoli Stati rischiano spesso di generare asimmetrie e confusione allontanando gli investimenti dall’estero, con scarsi risultati di gettito. In quest’ottica il ruolo dell’Ocse diventa centrale. Tutti gli accordi tra gli Stati per contrastare fenomeni di evasione fiscale fanno perno sull’articolo 26 del modello Ocse che rimuove il segreto bancario come ostacolo alla trasmissione di informazioni.
Gli accordi globali
Ma occorre fare di più e, nel febbraio 2014, gli esperti dell’Organizzazione per il commercio e lo sviluppo, pubblicano il Crs (Common reporting standard), basato sull’impianto Usa del Fatca. Si tratta di un modello multilaterale che sostanzialmente punta a consentire l’identificazione e la segnalazione dei conti finanziari detenuti da non residenti alle rispettive autorità nazionali in modalità automatica. Attualmente sono 127 gli Stati che si sono dichiarati disponibili – in particolare al G20 di Brisbane del 2014 e più recente a Bridgetown nell’ottobre 2015 – a censire in modo uniforme le informazioni fiscali relative a soggetti non residenti mettendole a disposizione dello Stato terzo. Basandosi su questa intesa di Brisbane è stata realizzata la mappa riportata in queste due pagine. Le prime informazioni avranno come riferimento temporale il 2016 e saranno trasmesse nel 2017 da parte di un rilevante numero di Stati, mentre altri le invieranno nel 2018 con riguardo al 2017 (altri Paesi hanno in corso di definizione le relative procedure, come specificato nella mappa).
Convenzioni e «Beps»
Fatca e Crs rappresentano un’evoluzione cruciale rispetto ai sistemi agli strumenti tradizionali, come le Convenzioni contro le doppie imposizioni, che oltre a regolare la potestà impositiva degli Stati contraenti, sono accompagnati da accordi di natura amministrativa per favorire lo scambio di informazioni e/o l’effettuazione di verifiche simultanee. L’Italia ha attualmente in corso 96 Convenzioni (ultima rivista con Hong Kong). A queste si aggiungono i Tiea (Tax information exchange agreement) che a differenza delle convenzioni si occupano solo dello scambio di informazioni fiscali. Oggi sono in vigore 7 Tiea (più quello con il Liechtenstein del 26 febbraio 2015).
A livello europeo, sempre dal 1° gennaio 2016 (salvo Austria dal 1° gennaio 2017), avverrà uno scambio di informazioni sulla base della direttiva 2011/16/Ue esteso anche a tipologie reddituali come redditi da lavoro dipendente, compensi, prodotti assicurativi eccetera, diverse da quelle finanziarie, superando così la precedente e assai limitata Direttiva Risparmio.
La tensione con le multinazionali del web, che ha visto negli ultimi mesi la messa in stato d’accusa di giganti come Apple e Google, ha portato all’elaborazione, sempre in ambito Ocse, del progetto «Beps» (Base Erosion and Profit Shifting) approvato il 16 novembre scorso dal G-20 di Antalya, in Turchia. Il Beps basato su 15 action plan coinvolge circa 90 Stati, che saranno chiamati a ratificarlo nel 2016 e punta a colmare le lacune nelle regole internazionali e nazionali che le grandi società, presenti in più Paesi, sfruttano per dirottare i loro utili nei paesi a fiscalità privilegiata. Si va dagli interventi sull’economia digitale alle regole sul transfer pricing al contrasto alla cosiddetta double non taxation.
Va infine ricordato come in base all’articolo 1 del Dl 167/1990 sul cosiddetto monitoraggio fiscale esterno, gli intermediari sono tenuti a rilevare e trasmettere annualmente all’agenzia delle Entrate gli estremi identificativi di coloro che effettuano trasferimenti finanziari da/verso l’estero. Mentre in caso di trasporto di denaro e valori l’articolo 3 del Dlgs 195/2008 prevede obblighi di dichiarazione in dogana.
Ilsole24ore – Marco Bellinazzo Renzo Parisotto

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