È ammessa come prova nel processo penale la registrazione fonografica di conversazione ad opera di un soggetto che sia partecipe o comunque sia ammesso ad assistervi.

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È ammessa come prova nel processo penale la registrazione fonografica di conversazione ad opera di un soggetto che sia partecipe o comunque sia ammesso ad assistervi.

Molto spesso ci si chiede se le registrazioni di conversazioni tra presenti siano lecite e fino a che punto queste possono essere utilizzate in un processo penale? Violano o meno la privacy delle persone, ovvero integrano il reato punito dall’art. 615 bis c.p. di interferenza illecita nella vita privata altrui?

La registrazione fonografica di un colloquio ad opera di un soggetto che sia partecipe o comunque sia ammesso ad assistervi, è legittima secondo il codice di procedura penale anche se eseguita di nascosto, cioè senza informare l’interlocutore della registrazione.

La registrazione, infatti, costituisce una forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l’autore può disporre legittimamente, anche ai fini di prova nel processo secondo la disposizione dell’art. 234 c.p.p. (salvi gli eventuali divieti di divulgazione del contenuto della comunicazione che si fondino sul suo specifico oggetto o sulla qualità rivestita dalla persona che vi partecipi); tale registrazione, infatti, costituisce prova documentale secondo la disciplina dell’art. 234 c.p.p., che qualifica “documento” tutto ciò che rappresenta «fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo». Né può, sul punto, invocarsi il TU privacy per sostenere la illegittimità dell’intercettazione (sia di una conversazione che di una telefonata).

A dirlo è una sentenza della Corte di Cassazione, la n. 18908/2011: che così dispone: “Integra il reato di trattamento illecito di dati personali (art. 167, d.lg. 30 giugno 2003, n. 196) il diffondere, per scopi diversi dalla tutela di un diritto proprio o altrui, una conversazione documentata mediante registrazione”.

Ne deriva che La registrazione fonografica di un colloquio, svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, ad opera di un soggetto che ne sia partecipe, è prova documentale pienamente utilizzabile. (Si veda anche Cassazione penale, sez. III, 03/10/2012, n. 43898 e Cassazione penale, sez. VI, 16/03/2011, n. 31342).

Sul punto, l’orientamento maggioritario è pressoché unanime nell’affermare che: La registrazione fonografica di un colloquio telefonico effettuata non già da terzi ma da uno dei partecipanti alla conversazione non è riconducibile alla nozione di intercettazione ma costituisce memorizzazione di un fatto storico della quale l’autore può disporre liberamente, anche ai fini di prova nel processo, secondo la disposizione dell’art. 234 c.p.p., salvi gli eventuali divieti di divulgazione della comunicazione che si fondino sul suo specifico oggetto o sulla qualità rivestita dalla persona che vi partecipa. Corte appello Milano, sez. III, 07/04/2011, n. 1242 (e anche Cassazione penale, sez. II, 11/04/2007, n. 16886; e penale, sez. I, 22/04/1992).

Di recente si è tornati a discutere circa la possibilità di essere registrati nel corso di una conversazione senza saperlo. Sul punto si è pronunciata la Corte di Cassazione, ribadendo quanto ormai costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità in materia; ovverosia che le registrazioni di conversazioni tra presenti, compiute per iniziativa di uno degli interlocutori, non rientra, nel concetto di intercettazione in senso tecnico, ma rappresentano una particolare forma di “documentazione”, che non è sottoposta ai limiti e alle finalità, proprie delle intercettazioni, e in quanto tali non necessitano dell’autorizzazione del giudice delle indagini preliminari.

Lo scorso 20 marzo 2015, la II Sezione Civile della Cassazione (sentenza n. 19158) ha rilevato che: “ciascuno dei soggetti che partecipano ad una conversazione è pienamente libero di adottare cautele ed accorgimenti, e tale può essere considerata la registrazione, per acquisire, nella forma più opportuna, documentazione e quindi prova di ciò che direttamente pone in essere o che è posto in essere nei suoi confronti […].

Come giustamente osservato, la registrazione fatta da un privato è attività distinta dalla c.d. intercettazione. Di quest’ultima, il codice non offre alcuna definizione; tuttavia, dal complesso normativo, si evince che essa consiste nell’apprensione occulta, in tempo reale, del contenuto di una conversazione o di una comunicazione in corso tra due o più persone da parte di altri soggetti, estranei al colloquio.

In questo modo, perché si tratti di intercettazione “rituale”, occorre : a) che i soggetti devono comunicare tra loro col preciso intento di escludere estranei dal contenuto della comunicazione e secondo modalità tali da tenere quest’ultima segreta: b) è necessario l’uso di strumenti tecnici di percezione (elettro-meccanici o elettronici) particolarmente invasivi ed insidiosi, idonei a superare le cautele elementari che dovrebbero garantire la libertà e segretezza del colloquio e a captarne i contenuti; c) l’assoluta estraneità al colloquio del soggetto captante che, in modo clandestino, consenta la violazione della segretezza della conversazione.

A bene vedere, la registrazione di un colloquio, svoltosi a viva voce o per mezzo di uno strumento di trasmissione, ad opera di una delle persone che vi partecipi attivamente o che sia comunque ammessa ad assistervi, non è in alcun modo riconducibile al concetto d’intercettazione, poc’anzi espresso. Difettano, in questo caso, sia la compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione, il cui contenuto viene legittimamente appreso soltanto da chi palesemente vi partecipa o vi assiste, sia la “terzietà” del captante.

La comunicazione, una volta che si è liberamente e legittimamente esaurita, entra a fare parte del patrimonio conoscitivo degli interlocutori e di chi vi ha non occultamente assistito, con l’effetto che ognuno di essi ne può disporre, a meno che, per la particolare qualità rivestita o per lo specifico oggetto della conversazione, non vi siano specifici divieti alla divulgazione (es.: segreto d’ufficio). Ciascuno di tali interlocutori è pienamente libero di adottare cautele ed accorgimenti, e tale può essere considerata la registrazione, per acquisire, nella forma più opportuna, documentazione e, quindi, prova di ciò che, nel corso di una conversazione, direttamente pone in essere o che è posto in essere nei suoi confronti; pertanto, con la registrazione, il soggetto interessato non fa altro che memorizzare fonicamente le notizie lecitamente apprese dall’altro o dagli altri interlocutori.

Avv. Sabrina Caporale

Fonte: (www.responsabilecivile.it)

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