Evasione. A rischio la casa dell’ex coniuge.

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Evasione. A rischio la casa dell’ex coniuge.

È legittimo il sequestro preventivo dell’immobile di cui è titolare l’ex moglie del presunto evasore fiscale, se risulta che quest’ultimo risiede ancora lì. È quanto emerge dalla sentenza n. 10 settembre 2015, n. 36530 della Corte di Cassazione – Terza Sezione Penale.
Gli ermellini hanno esaminato il caso di una donna colpita da un provvedimento di sequestro – avente a oggetto beni mobili e immobili – in quanto ex moglie di un imprenditore indagato per reati societari (bancarotta) e tributari.
Investita della controversia, la Suprema Corte ha confermato l’ordinanza di sequestro per quanto riguarda i beni immobili, perché, ha spiegato, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, può ricadere su beni anche solo nella disponibilità dell’indagato, per essa dovendosi intendere la relazione effettuale con il bene, connotata dall’ esercizio dei poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà, cosicché i beni, se anche siano formalmente intestati a terzi estranei al reato, devono ritenersi nella disponibilità dell’indagato quando essi, sulla base di elementi specifici e dunque non congetturali, rientrino nella sfera degli interessi economici del reo, ancorché il potere dispositivo su di essi venga esercitato per il tramite terzi.
Il Tribunale del riesame, nel confermare la misura cautelare contestata dalla donna – estranea alle indagini – ha diffusamente argomentato sul luogo di residenza effettiva dell’imputato coincidente, nonostante la formale separazione tra i coniugi, con l’immobile adibito ad abitazione coniugale, sulle modalità di pagamento dei due immobili sottoposti a vincolo, sul tenore del ricorso per separazione giudiziale dei coniugi proposto dalla ricorrente e sul rinvenimento, in occasione dell’esecuzione del sequestro, di una scrittura privata formata lo stesso giorno dell’udienza di separazione con la quale la moglie consentiva l’addebito su un proprio conto debitori di una carta di credito in uso al marito, il quale provvedeva a rimborsarle i relativi esborsi. Sulla base di ciò, il Tribunale ha ritenuto evidente, in mancanza di una verosimile spiegazione alternativa, la necessità dell’indagato di “schermare” le sue entrate, altrimenti aggredibili da Equitalia in forza dei debiti accumulati con il fisco.
La Suprema Corte ha invece ritenuto di dover annullare l’ordinanza del riesame per quanto riguarda il sequestro dei beni mobili, perché è mancata una motivazione esauriente circa la disponibilità in capo all’indagato di detti beni. Sul punto gli ermellini hanno osservato che “è sempre necessaria la dimostrazione da parte dell’accusa della disponibilità, secondo la nozione sempre delineata, del bene da parte dell’indagato, dovendo in particolare il pubblico ministero fornire la prova dell’esistenza di situazioni che avallino siffatta discrasia”, e nel caso di specie il Tribunale non ha fatto corretta applicazione di questa regola, essendosi “limitato ad asserire come la disponibilità del bene in capo all’indagato derivi dalla mancanza di provviste da parte del terzo. Tale motivazione non soddisfa, per ciò solo, i requisiti richiesti dalla norma e dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema che esige, invece, una specifica e puntuale motivazione per superare la presunzione di appartenenza esclusiva del bene anche sotto il profilo della signoria di fatto, ad un soggetto terzo estraneo al reato”.

Fonte: Fiscal Focus.

Leggi qui la sentenza n. 10 settembre 2015, n. 36530 della Corte di Cassazione – Terza Sezione Penale.

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