Il commercio equo: un’alternativa concreta allo sviluppo insostenibile.

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Paralumi in paglia provenienti dal Vietnam, cinte in pelle prodotte dalla cooperativa indiana Madhya Kalikata Shilpahgan, cestini del Bangladesh. Sono solo alcuni degli oggetti che si possono trovare nelle botteghe del mercato equo e solidale. Una particolare filiera di vendita nata negli anni Sessanta negli Stati Uniti con lo scopo di avvicinare il Sud al Nord del mondo, dando dignità ai piccoli produttori locali e facendo di un semplice acquisto l’occasione per incontrare mondi lontani. Questi sono prodotti “parlanti”: dentro al caffè, al cioccolato, al miele ci sono le storie dei produttori del Sud del mondo che provano ad uscire dalla povertà grazie ai consumatori del Nord. Ma questi prodotti raccontano anche di un sistema economico pensato e sviluppato per favorire gli interessi di pochi soggetti economici. Alla base del commercio equo (fair trade in inglese) c’è infatti la volontà di contrastare le logiche del mercato tradizionale, applicate da grandi multinazionali che agiscono esclusivamente in ottica della massimizzazione del profitto: il Sud costretto a produrre nella mancanza di rispetto dei diritti e dell’ambiente, il Nord spinto a consumare e a tenere per le briglie i paesi poveri per garantire opulenza ai più ricchi.

Il Commercio Equo e Solidale è un approccio alternativo al consumo che cerca di dimostrare che l’egoismo non può essere l’unico motore per lo sviluppo e che il progresso non deve procedere a spese dei più deboli. E’ un sistema che vuole riequilibrare i rapporti con i Paesi economicamente meno sviluppati, migliorando l’accesso al mercato e le condizioni di vita dei produttori svantaggiati. Garantisce infatti a questi lavoratori un giusto guadagno e condizioni di lavoro dignitose.

Elimina le intermediazioni speculative e sostiene, con il prefinanziamento, progetti di autosviluppo. In pratica il Commercio Equo e Solidale vuole essere una relazione paritaria fra tutti i soggetti coinvolti nella catena di commercializzazione: dai produttori ai consumatori. Una caratteristica peculiare del fair trade è la filiera corta, ovvero l’esistenza di un percorso produttivo breve (produzione, trasporto, stoccaggio nei magazzini, distribuzione) che rende il prodotto sempre rintracciabile.  Il commercio equo in questo si differenzia molto da quello tradizionale, la cui filiera è caratterizzata spesso da molti passaggi che aumentano il profitto del commerciante a scapito di chi produce.

 Tutto è iniziato con un pacchetto di caffè confezionato con una carta povera. Grani scuri raccolti in America Latina e venduti in Italia nei mercatini missionari o nei primi negozi del commercio equo e solidale. Accadeva 30 anni fa a Bressanone, in provincia di Bolzano,  con l’apertura della prima “Bottega del mondo” italiana, un modo di proporre occasioni di acquisti diversi in quello che era un vero proprio “laboratorio” per una economia diversa e sostenibile. All’inizio quello equo era un commercio povero, fatto di piccoli oggetti di artigianato che arrivavano in Italia per lo più nelle borse di volontari e missionari. Le cooperative che li realizzavano avevano nomi impegnativi, come “Cristo liberatore” o “Gesù operaio”, ed erano in maggioranza latino-americane. Poi è arrivato anche il caffè con un foglietto che raccontava il viaggio dal Guatemala al Bel Paese. Sembrava un bene di consumo come tanti altri ma in realtà era diverso, era “equosolidale”. Costava un prezzo giusto e così contribuiva a far sopravvivere lavoratori che dall’altra parte del mondo di solito producevano quei chicchi a pochi soldi per il mercato tradizionale.  In particolare il commercio equo nasce alla fine della Seconda guerra mondiale dall’idea che bisognava valorizzare le capacità produttive delle comunità che si intendeva aiutare.

A pensarla per la prima volta così fu Edna Ruth Byler, americana, donna d’affari del settore tessile che nel 1946, durante un viaggio di lavoro a Puerto Rico, rimase impressionata dalle condizioni drammatiche di vita degli abitanti ma capì che poteva sfruttare le sue competenze professionali per valorizzare al massimo le capacità produttive di quel popolo.

In Italia il commercio Equo e Solidale iniziò a svilupparsi solo negli anni Ottanta. La prima esperienza fa capo alla Cooperativa Syr John Ltd di Morbengo, in provincia di Sondrio, che nel 1979 avviò la vendita di tappeti di juta intrecciato del Bangladesh. Poi fu la volta di Milano con l’ong Mani Tese mentre a Bressanone nacque la “Dritte Welt Landen”, la prima bottega del Mondo italiana ancora oggi attiva. Nel 1988 venne fondata la Ctm ( Cooperativa terzo mondo), la prima centrale di importazione/distribuzione del Commercio Equo italiano, oggi consorzio di Botteghe del Mondo Altromercato. Altra data fondamentale è il 1997 quando è stata creata la “Fairtrade Labelling International” (Flo) che è l’associazione mondiale di marchio per il commercio equo. Il manifesto del fair trade è la Carta italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale, stilata nel 1999 dall’ Agices (Assemblea generale italiana del commercio e quo e solidale), l’associazione nata nel 2003 che riunisce 92 organizzazioni no profit. Secondo quanto stabilito dalla Carta, le organizzazioni che aderiscono a WFTO (WorldFairTradeOrganization), la Federazione mondiale del commercio Equo e Solidale, sono coinvolte attivamente nell’assistenza tecnica ai produttori, nell’azione di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle istituzioni e nello sviluppo di campagne volte al cambiamento delle regole e delle pratiche del commercio internazionale. In più devono impegnarsi a rispettare l’ambiente, privilegiando produzioni biologiche, l’uso di materiali riciclabili e processi produttivi a basso impatto ambientale.

«Il nostro sistema garantisce al consumatore che la filiera sia al 100% equa e trasparente – dice Alessandro Franceschini, presidente Agices – Per noi quello che conta è la costruzione di un nuovo sistema economico più giusto e sostenibile in tutti i suoi aspetti». Lungo la catena commerciale un anello fondamentale per la diffusione sul territorio dei prodotti, principi e valori del Commercio Equo e Solidale sono le Botteghe del Mondo, spazi gestiti da volontari e lavoratori convinti che il mercato alternativo contribuisca alla costruzione di un mondo più giusto e di un’economia fondata su regole trasparenti e paritarie. Le Botteghe del Mondo sono gestite da associazioni o cooperative composte da persone con le provenienze più disparate. Qui si offrono prodotti alimentari naturalioggetti di artigianato, specialità esotiche e idee regalo adatti a tutti. Ma, oltre alla vendita dei prodotti del Commercio Equo e Solidale, all’interno di queste botteghe gruppi di volontari e lavoratori conducono costantemente attività di informazione e sensibilizzazione mirate ai clienti/consumatori, fornendo loro indicazioni non solo sui prodotti ma anche sui diritti umani dei produttori e sulle loro condizioni lavorative. L’azione educativa, però, non si esaurisce in Bottega: il messaggio del Commercio Equo entra nelle scuole e va nelle piazze per incontrare adulti e passanti. Le Botteghe del Mondo sono anche impegnate nel sostenere campagne che hanno l’obiettivo di far riflettere sul mercato globale. La campagna Altromercato “Tessere il futuro” per esempio nasce per offrire informazione sugli squilibri dovuti all’assenza di regole e di principi di equità nel panorama internazionale mentre “Diritto al cibo” vuole sensibilizzare l’opinione pubblica sulle cause che generano povertà e sfruttamento nei paesi del Sud del Mondo e sul ruolo che il Commercio Equo e Solidale può avere nel superare tali cause. Negli ultimi anni la diffusione di prodotti alimentari si è allargata anche alla grande distribuzione (Coop, Crai, Auchan, Lidl, Esselunga, Conad) portando a quota 5.000 il numero di punti vendita in cui si possono acquistare prodotti equosolidali. Questo commercio dà lavoro ad oltre un milione di persone del Sud del mondo e solo nel 2009 sono stati importati materiali per circa 12 milioni di euro con un fatturato di 100 milioni di euro. La gestione del commercio solidale vede impegnati molti giovani,  sia nella gestione delle organizzazioni no profit sia nel volontariato. «Nessuno diventa ricco con il mercato equo e solidale – dice Claudia, volontaria part time della cooperativa sociale onlus “Eccociqua” – Lavoriamo con professionalità per poter essere all’altezza della concorrenza di mercato. Insieme a noi sopravvivono i produttori. L’obiettivo è quello della solidarietà e della sostenibilità intese come uno stile di vita dignitoso per chi produce, per chi vende e per chi compra. Dietro alla rete del commercio equo e solidale ci sono servizi, incontri culturali, formazione ed eventi. Fa parte della nostra identità: una forza da condividere». A Roma una cooperativa sociale molto attiva è “Pangea-Niente di Troppo”, un’ organizzazione senza fini di lucro il cui scopo è la diffusione del Commercio Equo, della Finanza Etica e del Turismo Responsabile come strumenti di tutela dei diritti umani. “Pangea-Niente di Troppo” gestisce nella capitale sette Botteghe del Mondo in cui si possono trovare non solo merci, ma idee e spunti di riflessione sullo sviluppo sostenibile, sulla giustizia sociale e sul consumo responsabile. «A livello locale Altromercato non gestisce direttamente i punti vendita ma lo fa in collaborazione con cooperative sociali come “Pange-Niente di Troppo” – dichiara il responsabile e coordinatore commerciale di tutte le botteghe “Pangea”, Leonardo Mainello – “Pangea-Niente di Troppo” è presente a Roma attraverso sei punti vendita con il marchio Altromercato e uno senza.

Questa cooperativa è composta da 14 lavoratori. Il principio base con cui qui si lavora è il tre volte buono: buono per chi lo acquista, buono per chi lo produce e buono per chi lo vende. Chi acquista sa di comprare un prodotto che non ha sfruttato nessuno, chi vende sa che sta mettendo sul mercato qualcosa di compatibile con i principi etici e chi produce non è sfruttato ed è pagato un prezzo giusto per condurre una vita dignitosa. I Prodotti sono in linea con il rispetto dell’ambiente. I tessuti sono tutti organici, biologici, naturali e non modificati geneticamente». Una delle botteghe gestite da “Pangea” è quella che si trova a via di Ripetta, a due passi da Piazza del Popolo. Qui si può trovare veramente di tutto, dall’abbigliamento e gli accessori femminili alla cura della persona con prodotti bio. Alcuni scaffali sono dedicati al settore alimentare: in vendita ci sono diversi tipi di riso, olio, pasta e vino. Per i più golosi non mancano biscotti, cerali e dolci.

L’intuizione della fondatrice

Edna Ruth, cominciando a commerciare negli Stati uniti i prodotti d’artigianato che trasportava nella sua auto, ha contribuito a disegnare il modello della prima filiera equosolidale: l’apertura di un mercato ricco, come quello nordamericano, a piccoli produttori del Sud grazie all’azione di un operatore del Nord.

Intorno agli anni Settanta, Edna Ruth riuscì a costruire una rete commerciale dal nome “Self Help Crafts” che le consentì di connettere direttamente piccoli produttori dei Paesi Poveri con spazi di mercato del Nord America. La sua esperienza ha dato vita a “Ten Thousand Villages”, una organizzazione equosolidale che ancora oggi sostiene piccoli produttori sostituendosi ad intermediari commerciali che li sfruttavano e basta. A quel punto l’unico problema da risolvere rimaneva la distribuzione. Fu così che nel 1958 venne aperto il primo negozio di Commercio Equo.

Dalle botteghe ai supermercati

Oggi Flo è responsabile di stabilire gli standard di commercio equo internazionale e di porre il marchio sui prodotti. Il marchio Fair Trade ha aiutato il Commercio Equo ad espandersi al di fuori della nicchia delle botteghe del mondo. Attualmente infatti più di due terzi di prodotti solidali vengono venduti a catering e dettaglianti tradizionali

La tradizione italiana e il Sud del mondo

Le nuove frontiere del Commercio equo e Solidale sono quelle interne: guardano dentro i confini del nostro Paese, alle carceri italiane e alla nostra agricoltura bio. Ctm per esempio porta in bottega i prodotti realizzati dai detenuti (birra, formaggio, vino, pasta) per permettere loro di avere un riscatto tramite un lavoro qualificato. Equo Mercato invece propone i biscotti “Equo tradizionali”, risultato dall’incontro tra le ricette della tradizione italiana e i prodotti del commercio equo e solidale: così nascono i cantuccini toscani realizzati in un laboratorio toscano con una ricetta modificata per usare le materie prime del Sud del Mondo.

Ogni prodotto riporta indicazioni precise sulla provenienza e la lavorazione per rendere il cliente consapevole di cosa compra e di dove andranno ai finire i soldi che spenderà. Ma non finisce qui. Il negozio è dotato anche di un piano inferiore dedicato principalmente agli accessori e ai complementi d’arredo per la casa. «”Pangea- Niente di Troppo” gestisce la bottega di Via di Ripetta dal 25 settembre del 2010 – aggiunge Mainello – Prima più che essere una bottega di commercio equosolidale era una bottega etica, che faceva commercio etico, legato alla solidarietà. Qui un buon 50% della clientela è costituita da stranieri». Una figura fondamentale nelle Botteghe del Mondo è quella del volontario. «Il volontario rappresenta la forza principale e l’unica possibilità per mantenere in piedi economicamente la maggior parte di queste botteghe – conclude il responsabile – Molti volontari sono universitari che hanno la possibilità di fare esperienze molto vicine al lavoro. La bottega di Monterotondo è gestita interamente da volontari. All’interno della cooperativa il volontario può operare in diversi settori: comunicazione, amministrazione, vendite esterne. Oppure può stare in bottega ricoprendo il ruolo che in quel momento serve. E’ un supporto fondamentale per molti punti vendita che non hanno la possibilità di coprire l’intero orario di apertura con personale pagato. Noi di “Pangea” permettiamo agli studenti della Sapienza di Roma di svolgere corsi di tirocinio operativo in cui vivono dal di dentro tutti i processi della cooperativa. E’ un impegno a tutto tondo».

 

Verso il futuro….

Anche se ha già percorso molta strada, il Fair Trade deve ancora confrontarsi con diversi ostacoli, alcuni dei quali interni allo stesso movimento. Secondo quanto rivela Francisco Van Der Hoff, uno dei padri del commercio equo, innanzitutto c’è un grave problema di identità: coloro che lavorano nelle strutture dell’equosolidale ma anche i cittadini-consumatori del Nord del Mondo tendono ad identificare il Commercio Equo e Solidale più come uno strumento di lotta alla povertà che come una realtà capace di cambiare il regole del mercato ricostruendolo dalle fondamenta. In verità la povertà non è il vero problema ma solo il sintomo più lampante del fatto che il sistema così com’è concepito non va bene. E focalizzarzi sui sintomi non aiuta a modificare le cose. Ma anche la stessa struttura organizzativa del movimento ha delle carenze. Il potere decisionale è nelle mani dei rappresentanti delle organizzazioni del Nord e non in quelle dei piccoli produttori del Sud. E le logiche dei due mondi non sempre coincidono, neanche in questo diverso mercato. Insomma la pratica del Commercio Equo dimostra che il mercato può e deve essere diverso ma per cambiare un sistema, basato sullo sfruttamento e la distruzione sociale, la strada da fare è ancora molta.

 

 

Sei regole per cambiare il mercato

Alla base del Commercio Equo e Solidale c’è la volontà di contrastare il commercio tradizionale che si basa su pratiche ritenute dannose quali:

  1. la determinazione dei prezzi, che vengono stabiliti da soggetti forti (multinazionali, catene commerciali) indipendentemente dai costi di produzione che sono a carico di soggetti deboli (contadini, artigiani, emarginati);
  2. l’incertezza di sbocchi commerciali dei prodotti, che impedisce a contadini e artigiani di programmare seriamente il proprio futuro;
  3. il ritardo dei pagamenti: gli acquirenti pagano la merce molti mesi dopo la consegna, spesso anni, dopo che sono stati sostenuti i costi necessari alla produzione. Questo comporta l’indebitamento di soggetti economicamente deboli incrementando un circolo vizioso che porta spesso all’usura;
  4. la mancata conoscenza, da parte dei produttori, dei mercati nei quali vengono venduti i loro prodotti e dunque la difficoltà da parte loro di riuscire ad adeguarsi e tanto meno a prevedere mutamenti nei consumi;
  5. l’impiego di tecniche di produzione, per ridurre i costi, che nel medio-lungo periodo si rivelano particolarmente negative per il produttore e/o la sua comunità;
  6. il ricorso al lavoro minorile e la mancanza di formazione dei giovani;

Il codice etico, cui tutte le Organizzazioni Fair Trade che aderiscono a WFTO devono attenersi, è stato elaborato per la prima volta alla Conferenza WFTO del 1995 tenutasi nel Meryland (USA).

1. Obiettivi delle Organizzazioni di Fair Trade:
Mission istituzionale delle organizzazioni di commercio equo è la riduzione della povertà attraverso il commercio. L’organizzazione deve promuovere e favorire lo sviluppo dei produttori poveri, svantaggiati, marginalizzati e le associazioni e le cooperative di queste realtà produttive.

2. Trasparenza e responsabilità: le organizzazioni di commercio equo sono trasparenti in tutte le fasi dei processi organizzativi e produttivi e responsabili del proprio operato verso tutti i portatori di interesse, compreso WFTO. La trasparenza e la responsabilità inoltre sono le direttrici principali dei rapporti commerciali con le altre organizzazioni appartenenti a WFTO.
L’organizzazione elabora appropriate modalità partecipative per coinvolgere i lavoratori e i gruppi di produttori nel proprio processo decisionale.

3. Pagamento del giusto prezzo: È considerato equo un prezzo concordato tra le parti tramite il dialogo e la partecipazione, tenendo conto dei costi necessari per garantire una vita dignitosa ai produttori del Sud ma allo stesso tempo che sia sostenibile dal mercato.

4. Protezione dei minori: le organizzazioni di commercio equo che lavorano direttamente con strutture produttive del Sud forniscono analisi sul coinvolgimento dei minori nel processo produttivo e organizzano meetings per discutere le questioni legate al loro benessere fisico e mentale e incontri per analizzare i bisogni educativi e ricreativi.
L’eventuale partecipazione di minori al processo produttivo non deve influire negativamente sulla loro salute e crescita e deve essere in linea con il rispetto della Convenzione ONU sui diritti del bambino.

5. Migliorare la situazione delle donne: le organizzazioni di commercio equo forniscono opportunità formative a donne e uomini per migliorare le loro abilità e competenze e supportano attivamente le donne nella ricerca di lavoro e ad assumere ruoli da leadership.
Le organizzazioni che lavorano direttamente con i produttori devono assicurare che il lavoro delle donne venga valutato e remunerato adeguatamente.

6. Condizioni lavorative: le organizzazioni di commercio equo elaborano progetti e strumenti per i produttori partners affinchè questi possano lavorare in ambienti sicuri e salutari, tenendo conto inoltre dei particolari bisogni ed esigenze delle lavoratrici in stato di gravidanza.

7. Difesa ambientale: qualora disponibili, le organizzazioni dei produttori utilizzano materie prime e imballaggi con il minor impatto ambientale possibile.
Parallelamente, le centrali di importazione del commercio equo promuovono l’acquisto di prodotti fatti con materie prime e imballaggi a basso impatto ambientale e incoraggiano i loro partners all’uso di tali materiali.
8. Relazioni di lungo termine e accesso al mercato: le organizzazioni si impegnano a instaurare rapporti commerciali duraturi con i loro partners del Sud e assistono i produttori per migliorare il loro accesso al mercato, estero, locale, del commercio equo e di quello tradizionale.

9. Attività di lobbing e di sensibilizzazone: le organizzazioni membre di WFTO promuovono la conoscenza del Fair Trade e la necessità di una maggiore giustizia nel commercio mondiale,  in particolare nei confronti dei produttori, dei lavoratori e dei consumatori. Le organizzazioni partecipano nell’attività di lobbing a livello locale, nazionale e internazionale.

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