Irregolarità Iva con via di uscita

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Irregolarità Iva con via di uscita

Non sempre alcune irregolarità commesse in materia di Iva devono condurre alla richiesta di restituzione dell’imposta da parte del fisco. In alcuni casi infatti tali violazioni potrebbero risultare “neutre” fermo restando, ovviamente, gli interessi e le sanzioni. È il caso delle violazioni sul plafond Iva, per le quali l’imposta versata dal contribuente, dopo che ha commesso l’illecito, secondo la giurisprudenza di merito, può essere comunque detratta.

Questo regime, in sintesi, consente agli esportatori di effettuare acquisti non imponibili in presenza di precisi requisiti, onde evitare che il contribuente venga a trovarsi in una costante situazione di credito Iva (determinato da acquisti imponibili a fronte di vendite all’estero non imponibili).

Ove il contribuente dovesse determinare erroneamente il predetto plafond, egli può, innanzitutto, sanare la propria posizione attraverso il ravvedimento operoso e quindi, pagare l’imposta non addebitata sugli acquisti, unitamente ad interessi e sanzioni previste dall’art. 7 Dlgs 471/97 (sul punto circolare ministeriale 12 giugno 2002, n. 50/E e la 12/E/2010). In assenza di regolarizzazione spontanea, l’Ufficio potrebbe recuperare l’imposta attraverso la notifica di un avviso di accertamento o di liquidazione. In ogni caso il pagamento dell’Iva, sia in virtù del ravvedimento, sia per definizione del provvedimento impositivo, consente la sua detrazione, in assenza ovviamente di contestazioni sull’inerenza degli acquisti. Infatti, con il versamento successivo delle somme, il contribuente, anche se con scelta a posteriori, di fatto, non ha beneficiato del regime di non imponibilità e quindi nella sostanza ha versato l’imposta relativa agli acquisti.

Il principio di neutralità dell’Iva consente così di detrarre le somme pagate ovvero di richiederne il rimborso. Ne consegue che in ipotesi di irregolarità commesse sul calcolo del plafond (cd splafonamento), il contribuente potrà detrarre le somme corrisposte anche se in conseguenza di provvedimento impositivo. Peraltro, la circolare 35/2013 ha affermato che l’esportatore abituale, cui sia stato contestato lo splafonamento potrà esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il medesimo ha provveduto al pagamento dell’imposta, della maggiore imposta, degli interessi e delle sanzioni. Secondo il documento di prassi, tale conclusione deriva dalla necessità di tutelare il principio di neutralità del tributo imponendo la facoltà di detrarre anche l’Iva pagata in sede di accertamento. Ne consegue così che, fermo restando il termine del biennio dal pagamento, per simili contestazioni, il contribuente può legittimamente detrarre l’imposta pagata. Sebbene nella circolare non sia precisato, è verosimile che in alternativa alla detrazione si possa avanzare una richiesta di rimborso, adeguatamente motivata.

Un altro esempio di contestazione “neutra”, è la richiesta di restituzione di un rimborso Iva già erogato in assenza dei requisiti previsti per legge. Non di rado, gli uffici liquidano il rimborso e, solo in seguito, ravvisano presunte irregolarità della richiesta, emettendo così un atto di recupero delle somme già rimborsate, con interessi e sanzioni. Con la definizione del provvedimento, l’Iva diviene “nuovamente” detraibile (salvo specifiche contestazioni sull’inerenza) e pertanto dovrà essere reinserita nella liquidazione periodica.  In proposito, l’articolo 1, comma 3, Dpr 433/97, in tema di diniego ai rimborsi, prevede che nel caso in cui il contribuente proponga ricorso in Commissione Tributaria, durante lo svolgimento del contenzioso non si potrà detrarre il credito d’imposta, fino a quando la relativa sentenza non divenga definitiva. Tale principio appare estendibile a tutte le fattispecie analoghe, con la conseguenza che solo dopo la definizione della pretesa (attraverso il pagamento o in esito al giudizio), l’impresa può legittimamente detrarre l’Iva o chiederne il rimborso.

Con queste contestazioni viene preteso il pagamento di un’imposta che, se versata, dovrà essere successivamente “restituita” sotto forma di detrazione o mediante rimborso. Sarebbe forse opportuno, in un’ottica di evitare inutili contenziosi (vgs altro pezzo), che gli uffici pretendano da subito il pagamento di interessi e sanzioni, “compensando” invece l’imposta (onde evitarne la successiva restituzione con tutti gli oneri del caso).

Fonte: Il Sole 24 Ore

Studio Giuliano e Di Gravio

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