La crisi continua a colpire. Due famiglie su tre sono in bolletta.

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Sempre più italiani sono costretti a ridurre anche la spesa alimentare per riuscire ad arrivare a fine mese.Nonostante si tratti di una voce irrinunciabile, continuano a diminuirei consumi primari. E il tracollo a settembre della voce cibo e bevande (-5,7 % in quantità) è l’ennesimo segnale di una situazione giunta al limite. Addirittura moltidevono rivolgersi agli enti caritativi per un pasto gratuito o un pacco alimentare. A lanciare l’allarme è la Confederazione italiana agricoltori (Cia) che ha commentato l’indicatore dei consumi di Confcommercio ma anche i dati diffusi da Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) fotografano un aumento preoccupante del numero degli indigenti, in crescita del 33% tra il 2010 e il 2012. «Oggi – sottolinea la Cia – due famiglie su tre riescono ad arrivare a fine mese solo con tagli radicali sugli acquisti, compresi quelli alimentari. E’ un dramma che sottolineiamo da tempo. E dove non si riducono di netto le quantità comprate al supermercato, si mettono comunque in atto comportamenti di spesa improntati al massimo risparmio».Ma spiega ancora la Cia: «di fatto quasi la metà delle famiglie oggi riduce le quantità acquistate, soprattutto per quel che riguarda ortofrutticoli (il 41,4%), carne rossa (il 38,5%) e pane (il 37%).  Cresce in maniera esponenziale il numero di chi compra prevalentemente nei discount (28%) e di chi invece abbandona i grandi brand per marche sconosciute ma convenienti. Non si può continuare con questa fase di perenne emergenza. Gli italiani sono allo stremo e se non si prenderanno presto provvedimenti per sostenere i consumi e aiutare le famiglie, ad esempio riducendo gli oneri fiscali, l’Italia non uscirà mai dal tunnel della crisi». L’ultimo dato record sulla povertà in Italia, diffuso dall’Istat lo scorso luglio, rivela che una famiglia italiana su cinque è povera o quasi povera. Si tratta di lavoratori che hanno perso l’impiego, operai con un nucleo familiare numeroso, padri divorziati che non arrivano a fine mese. Frange del ceto medio d’un tempo,che mai avrebbero pensato di scivolare nel baratro,sono ora costrette a mettersi in coda alla Caritas per avere un pasto caldo.A Roma si parla di una vera e propria emergenza. Secondo i dati pubblicati dalla guida “Dove mangiare, dormire, lavarsi –Guida Michelin per i poveri” sono oltre 2000 le famiglie che potrebbero perdere la casa e oltre 50mila le persone che andranno a ingrossare le fila dei nuovi poveri. A due passi dalla stazione Termini c’è la mensa della Caritas dove si serve la cena e dove sempre più italiani si mescolano agli stranieri.Stessa situazione a Colle Oppio, a due passi dal Colosseo e dalla zona residenziale. Qui un signore racconta di essere disoccupato da un paio d'anni. Prima faceva l’operaio in una ditta di pavimentazioni ma il suo capo un bel giorno ha deciso di spostare la produzione all'estero e oggi lui tira avanti con qualche lavoretto sporadico che però non gli permette di arrivare a fine mese. Quella del suo amico, invece, è la storia di un matrimonio andato male che l'ha lasciato sul lastrico. Sono le vittime di una crisi iniziata qualche anno fa e che tra il 2007 e il 2011 ha causato nel Paese la perdita di un milione di posti di lavoro. In parte, stando al dossier “Caritas-Migrantes”,questi vuoti sono stati compensati dall'assunzione di 750mila stranieri, in mansioni e settori non ambiti dagli italiani. Gli immigrati sono preferiti per la giovane età, la disponibilità e la flessibilità – il che spesso si traduce in forme di sfruttamento – e si concentrano nelle fasce più basse del mercato del lavoro.Eppure i connazionali, incontrati in queste mense,non hanno l'aria di essere così schizzinosi. «Io nella vita ho fatto di tutto – racconta un signore colto e appassionato di politica– dal metalmeccanico allo spazzino». Ma tra i nuovi poverici sono anche i pensionati che con 500-600 euro al mese non riescono a pagare l’affitto  e i giovani precari che spesso sono costretti a tornare a casa da mamma e papà perché non ce la fanno con tutte le spese. La storia di Angela e Gabriele ne è un esempio. Lei 29 anni laureata in Farmacia, lui 32 laureato in Economia. Dopo quattro anni di convivenza, arriva il primo figlio, Pietro. Angela perde il suo lavoro di commessa e Gabriele si ammazza di straordinari in un’impresa di costruzioni. C’è il fitto da pagare, le bollette, pappe e pannolini. I ragazzi non ce la fanno. Otto mesi dopo la nascita di Pietro la nuova famiglia si trasferisce dai genitori di Gabriele. «Se non ci fossero stati i miei suoceri ad aiutarci non so come avremmo fatto ha detto Angela – Quando aspettavo Pietro passavo notti insonni a chiedermi che vita avremmo potuto dargli. Oggi sento che il peggio è passato ma non vedo sbocchi. Lavoro tutto il giorno per una miseria, mio marito lo stesso. A casa i miei suoceri fanno di tutto per non farci pesare la situazione ma a volte mi sento un’ospite. Spesso ho sensi di colpa perché penso che dopo una vita di lavoro, anche mia suocera avrebbe il diritto di riposarsi e invece fa la nonna a tempo pieno. Così diventa pesante per tutti».È la quotidianità del precariato lavorativo che si traduce in precarietà esistenziale per quelli che, nonostante tutto, non rinunciano al progetto di una vita in due.A risentire della crisi sono soprattutto i nuclei familiari numerosi. Mario Sberna, fondatore e presidente dell’ “Associazione Nazionale Famiglie Numerose”, denuncia una situazione a dir poco disperata: «In Italia attualmente le famiglie numerose, con tre, quattro o più figli, sono una minoranza perché  crescerli costa troppo. Alla nascita di un figlio, la coppia vede automaticamente ridotto il proprio reddito. A fronte di un costo per figlio che, dalla nascita fino alla laurea varia dai 200 ai 300mila euro, lo Stato riconosce ora, con detrazioni e assegni familiari, solo un beneficio che va da un massimo di 2.550 euro all’anno (per le persone meno abbienti) fino a zero». Basta andare fuori da qualsiasi scuola per rendersene conto. In tante classi gli studenti non hanno i libri per il semplice fatto che i genitori non hanno soldi per comprarglieli. A parità di reddito,una famiglia con quattro o più figli paga le stesse addizionali di un single o di una coppia senza figli ma ovviamente il reddito disponibile pro-capite non è certo lo stesso. Continua Sberna: «Il governo attuale non ha messo in atto nessuna politica familiare né pare abbia intenzione di applicarla. Anche l’attuale riforma dell’Isee (Indicatore della situazione economica equivalente), per una spesa sociale più equa, è un totale disastro. Secondo l’Isee, il totale dei redditi e del patrimonio mobiliare e immobiliare viene diviso per un coefficiente in base al quale il primo figlio ha un valore di 0,47, il secondo 0,42, il terzo 0,39 e dal quarto in poi 0,35. In Italia il valore dei figli è decrescente, al contrario di altri Paesi come la Francia.  Quello Stato che dovrebbe proteggere la maternità, e in particolare le famiglie, si fa beffa di noi. E poi hanno il coraggio di venirci a dire che se l’economia non riparte è colpa nostra che non facciamo abbastanza figli». Insomma, ora più che mai, sarebbe forse necessario un intervento mirato da parte del governo che invece si ostina ad applicare il rigore finanziario che compromette la ripresa economica. «Oggi sono quasi 3,7 milioni gli italiani che contano sul piano di aiuti attuato da Agea sulla base dei fondi Ue – ricorda la Cia – Un piano fondamentale di welfare che l’Europa vorrebbe però smantellare a fine 2013. Noi sosterremo ogni azione e iniziativa messa in campo per mantenere in vita questo programma che diventa ogni anno più indispensabile».

 

 

 

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