Ristrutturazione aziendale: assegnazione a mansioni inferiori, limiti operativi, tutela dei contrapposti interessi.

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L’art. 2103 cod. civ. stabilisce che il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, oppure a quelle superiori successivamente acquisite, ovvero a mansioni equivalenti a quelle da ultimo svolte, con espressa sanzione di nullità di ogni patto contrario.
La giurisprudenza di legittimità, nel corso gli anni, si è ripetutamente occupata di interpretare la nozione di “mansioni equivalenti” e di “professionalità”, affermando che spetta alla competenza del giudice “riempire di contenuto normativo le nozioni aperte, non definite dalla disposizione stessa (ndr. nel nostro caso, l’art. 2103 cod. civ.) … che rinviano a valori socioculturali esterni, storicamente accettati, e mutevoli nel tempi di vigenza della disposizione” (Cass. 8 marzo 2007, n. 5285 ).
In particolare, la giurisprudenza – ormai da tempo e dopo un’iniziale “titubanza” (Cass. 13 febbraio 1980, n. 1026 ) – ha ritenuto legittima l’assegnazione di mansioni inferiori nel caso in cui tale provvedimento costituisca l’unica alternativa al licenziamento del dipendente (Cass. S.U. 7 agosto 1998, n. 7755).
Con la recente sentenza n. 11395 del 22 maggio 2014 , la Suprema Corte si è pronunciata in una fattispecie in cui un lavoratore, con mansioni di responsabile dell’Ufficio Tecnico di un comune, aveva lamentato un demansionamento, in quanto – a seguito di una ristrutturazione del predetto ufficio (che aveva determinato la creazione di un’Area Tecnica e di un altro ufficio specializzato in materia di gestione di beni comunali) – gli erano stati assegnati nuovi compiti.
La Corte di merito ha escluso il demansionamento del dipendente, rilevando, tra l’altro, che nell’ambito della nuova organizzazione dell’ufficio era avvenuta una nuova ripartizione di materie e di compiti, con assegnazione di alcune materie specifiche in capo al lavoratore, che – pur non coprendo tutto il raggio del preesistente Ufficio Tecnico – erano tuttavia di grande rilevanza e, in ogni caso, rientranti nelle originarie mansioni attribuite al dipendente.
La Suprema Corte ha confermato la sentenza di appello, evidenziando che “l’impostazione della Corte territoriale è conforme alla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 8596 del 5 aprile 2007Cass. n. 5285 del 2007), secondo la quale la disposizione dell’art. 2103 c.c. sulla disciplina delle mansioni e sul divieto di declassamento va interpretata alla stregua del bilanciamento del diritto del datore di lavoro a perseguire un’organizzazione aziendale produttiva ed efficiente e quello del lavoratore al mantenimento del posto, con la conseguenza che, nei casi di sopravvenute e legittime scelte imprenditoriali, comportanti, tra le altre, ristrutturazioni aziendali, l’adibizione del lavoratore a mansioni diverse, anche inferiori, a quelle precedentemente svolte, restando immutato il livello retributivo, non si pone in contrasto con il dettato del Codice Civile”.
Il principio affermato dalla Suprema Corte nel caso esaminato non sembra discostarsi dal consolidato orientamento, secondo cui, anche nel caso di ristrutturazione aziendale, l’assegnazione di mansioni inferiori potrebbe legittimamente verificarsi solo ed esclusivamente nel caso in cui tale modifica costituisca l’unica alternativa al licenziamento del dipendente (fermo restando che, nel caso esaminato, non era neppure in discussione la stabilità del posto di lavoro).
Ancor più recentemente, infatti, la Corte di Cassazione ha ribadito il suo orientamento “restrittivo” in materia di modifica in pejus delle mansioni,affermando che l’assegnazione di mansioni inferiori non è legittima neppure nel caso in cui venga definitivamente soppresso l’ufficio o l’unità operativa cui è addetto il lavoratore (C ass. 11 luglio 2014, n. 16012 ).
D’altra parte, nella fattispecie sopra esaminata, non vi era neppure la necessità di verificare la sussistenza e la portata della ristrutturazione, posto che, comunque, il giudice di merito aveva accertato che il nuovo incarico non comportava una dequalificazione e ciò anche con riferimento al mutamento dei riporti gerarchici del lavoratore (che, per lo svolgimento di alcuni compiti, avrebbe avuto come referente direttamente il Sindaco).
Con specifico riferimento alla rilevanza dei riporti gerarchici e/o del coordinamento di altri lavoratori in caso di assegnazione di nuove mansioni, si segnala che la Suprema Corte, con la recente sentenza n. 14600 del 27 giugno 2014 , ha affermato che non sussiste un demansionamento se il nuovo incarico assegnato al dipendente offre a quest’ultimo l’occasione per sviluppare la professionalità acquisita, nonostante venga meno la possibilità di coordinare altri dipendenti ed anche se l’incarico assegnato comporta l’utilizzo di nuove tecnologie sconosciute al lavoratore.

Fonte : sole24ore.

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