Decreto Cura Italia le disposizioni in tema di giustizia civile

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Decreto Cura Italia le disposizioni in tema di giustizia civile

L’art. 83, D.L. 17 marzo 2020, n. 18, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 17 marzo 2020, n. 70, regola questioni processuali e sostanziali dei giudizi civili e penali; a quelli amministrativi è dedicato l’art. 84; a quelli contabili l’art. 85.

Per quanto attiene ai rapporti di diritto privato è importante evidenziare anzitutto una disposizione di contenuto sostanziale: data la sospensione dei processi civili e penali dal 9 marzo al 15 aprile (a parte le eccezioni espressamente indicate), il comma 8 prevede che durante tale periodo “è sospesa la decorrenza dei termini di prescrizione e decadenza dei diritti che possono essere esercitati esclusivamente mediante il compimento delle attività precluse dai provvedimenti medesimi”.

Purtroppo questa disposizione è oscura: le attività precluse sono quelle che derivano “dai provvedimenti dei commi 5 e 6 dell’art. 83 “che precludano la presentazione della domanda giudiziale”; il commi 5 dice che il capo dell’ufficio giudiziario può adottare i provvedimenti di cui al comma 7, lettere da a) a f) ed h), mentre il comma 6) regola le “le misure organizzative” che i capi degli uffici giudiziari potranno adottare nel futuro, d’intesa con altre autorità, “al fine di evitare assembramenti all’interno dell’ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone”.

Rimanendo quindi nell’ambito dei provvedimenti emanabili ora, cioè quelli cui il comma 5 fa rinvio, nessuna di queste limita il deposito di atti telematici, com’è ovvio dato che non c’è alcun rischio di contagio.

Anzi, la disposizione richiama la possibilità di disciplinare le udienze con conferenza da remoto, sicchè semmai depone in altro senso.

E’ vero però che nel comma 2 “si intendono pertanto sospesi, per la stessa durata, i termini … per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio”, ma la frase termina con le parole “e, in genere, tutti i termini procedurali”, sicché la disposizione è da riferirsi ai termini processuali, come ad es. quello per la notifica della citazione in opposizione a decreto ingiuntivo.

Il problema che resta aperto è quello dell’interruzione dei termini sostanziali di decadenza e prescrizione, perché ad es. un ricorso per decreto ingiuntivo, che interrompe ogni termine, si presenta solo in forma telematica e quindi il suo deposito non rientra tra le attività precluse in quanto comportanti la presenza di persone che il capo dell’ufficio possa vietare.

Ciò significa che gli uffici dovrebbero ricevere questi atti e provvedere in merito.

Il tema è però più ampio e molto delicato perché esistono termini che non si possono interrompere con una diffida stragiudiziale: tutti quelli costitutivi, come ad es. l’interruzione del possesso ad usucapionem o le azioni revocatorie, dato che qui occorre necessariamente proporre la domanda giudiziale.

Ad es. per Cass. 18 ottobre 2016, n. 21015, “in tema di possesso ad usucapionem, con il rinvio fatto dall’art. 1165 c.c. all’art. 2943 c.c. la legge elenca tassativamente gli atti interruttivi, cosicché non è consentito attribuire tale efficacia ad atti diversi da quelli stabiliti dalla norma, per quanto con essi si sia inteso manifestare la volontà di conservare il diritto, giacché la tipicità dei modi di interruzione della prescrizione non ammette equipollenti” e Cass. 19 giugno 2003, n. 9845 ha escluso l’idoneità di una semplice diffida, perché non interrompe il fatto materiale del possesso altrui.

Per l’azione revocatoria si può vedere poi, ad es., Cass. 15 febbraio 2007, n. 3379: “in tema di azione revocatoria ordinaria, la posizione del creditore ha natura di diritto potestativo, al quale pertanto non corrisponde l’obbligo di un soggetto a una prestazione ma la mera posizione di soggezione all’iniziativa altrui; ne consegue che non è configurabile l’esistenza di un atto interruttivo del decorso della prescrizione diverso dalla domanda giudiziale”.

Ora dato che dopo la notifica della citazione il processo si iscrive a ruolo anche in forma telematica e non serve la presenza di alcuna persona, qui opera o no il comma 8 in esame?

Il d.l. è accompagnato da una relazione illustrativa, ove in relazione al comma 2 si dice che si è cercato di superare l’impasse derivante dalla formulazione del precedente d.l. n. 11, richiamando in linea generale i giudizi civili e penali in luogo del richiamo alla “pendenza” dei giudizi, in modo da ricomprendere i termini di impugnazione ed “estendere gli effetti della sospensione agli atti introduttivi del giudizio, ove per il loro compimento sia previsto un termine”.

Ora siccome anche nella relazione si parla non di termini sostanziali ma di termini processuali, il tentativo di superare i dubbi ha avuto successo solo parziale, perché i termini relativi ai diritti potestativi si interrompono solo nel modo anzidetto e non sono termini processuali; nella relazione non c’è poi alcun commento specifico al comma 8, sicchè se il tema non verrà ulteriormente chiarito, sembra che per impedire decadenze l’unico rimedio sia solo quello della proposizione della domanda giudiziale.

Quanto alle questioni meramente procedurali, oltre al rinvio delle udienze dal 9 marzo al 15 aprile, il comma 2 indica che nello stesso periodo “è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili” e dunque non vi è alcuna decadenza per atti per non compiuti nel periodo.

Sebbene la disposizione taccia, quelli compiuti mantengono la loro efficacia, non essendo prevista alcuna invalidità di sorta.

Si pone semmai il problema della rinnovazione di un tale atto, ad es. perché chi lo ha depositato intenda in qualche modo cambiarne il contenuto; sebbene la disciplina processuale non regoli il “ritiro” dell’atto processuale, ugualmente consente di formulare una soluzione.

L’art. 358 c.p.c. consente di riproporre l’impugnazione prima che quella già proposta sia dichiarata inammissibile; la cassazione intende così tale facoltà: “nel processo civile, il principio di consumazione dell’impugnazione non esclude che, fino a quando non intervenga una declaratoria di inammissibilità, possa essere proposto un secondo atto di impugnazione, immune dai vizi del precedente e destinato a sostituirlo, purché esso sia tempestivo” (Cass., 4 giugno 2018, n. 14214 e varie conformi).

Applicando il ragionamento agli atti depositati nel periodo di sospensione, si può argomentare la possibilità di ritirare una memoria depositata e sostituirla con altra, purchè entro il termine oggi rideterminato in base al provvedimento di sospensione.

Il medesimo comma 2 dell’art. 83 precisa che, per i termini che iniziano a decorrere in detto periodo, che in realtà include anche sabato 7 marzo (art. 155, comma 5, c.p.c.) e l’8, domenica, “l’inizio stesso è differito alla fine di detto periodo “; nel passato si è già posta una questione a proposito della sospensione feriale dei termini, quando si è discusso se il primo giorno da cui decorre il termine sia non il primo dopo la sospensione, ma quello successivo, dato che “dies a quo non computatur”.

Il problema è stato affrontato per l’ordinaria interruzione feriale ad es. da Cass., 20 marzo 2017, n. 7112, per la quale invece “se il decorso del termine ha inizio durante il periodo di sospensione, esso è differito alla fine di detto periodo, va intesa nel senso che il primo giorno utile successivo alla sospensione [feriale]va computato nel novero dei giorni concessi dal termine, di cui tale giorno non costituisce l’inizio del decorso ma la semplice prosecuzione, a nulla rilevando che si tratti di giorno festivo”.

Il 16 aprile cadrà di giovedì e quel giorno andrà computato nei termini che decorrono.

Opportunamente si è disciplinato il decorso del termine “a ritroso”: se “ricade in tutto o in parte nel periodo di sospensione, è differita l’udienza o l’attività da cui decorre il termine in modo da consentirne il rispetto”.

In tema di termini a ritroso occorre ricordare che per Cass. 14 settembre 2017, n. 21335, “l’art. 155 c.p.c., 4° comma, diretto a prorogare al primo giorno non festivo il termine che scada in un giorno festivo ed il successivo 5° comma del medesimo articolo, diretto a prorogare al primo giorno non festivo il termine che scada nella giornata di sabato, operano anche con riguardo ai termini che si computano «a ritroso», ovvero contraddistinti dall’assegnazione di un intervallo di tempo minimo prima del quale deve essere compiuta una determinata attività; tale operatività, peraltro, deve correlarsi alle caratteristiche proprie di siffatto tipo di termine, producendo il risultato di individuare il dies ad quem dello stesso nel giorno non festivo cronologicamente precedente rispetto a quello di scadenza, in quanto, altrimenti, si produrrebbe l’effetto contrario di una abbreviazione dell’intervallo, in pregiudizio per le esigenze garantite dalla previsione del termine medesimo”.

Dunque, se il giorno era festivo, il termine non va posposto ma anticipato.

Un tema da affrontare è quello dei termini a difesa che decorrevano nel periodo oggi sospeso e per i quali sia stata fissata udienza in data successiva; ad es. un provvedimento che ordina l’integrazione del contraddittorio emanato in febbraio, che fissa udienza a giugno, con termine per i soggetti notificati fino ad un giorno dei primi di aprile per costituirsi (caso reale).

Poiché questi termini servono al soggetto intimato per predisporre le proprie difese, al medesimo va garantito tutto il periodo di tempo assegnato, che si calcola dalla data finale fissata all’altro soggetto per notificare l’atto, fino al termine indicato per costituirsi.

Questo tempo attiene al diritto costituzionale di difesa e quindi non può essere compresso, nemmeno se la sua scadenza sia in parte successiva al 15 aprile; conseguentemente andrà calcolato interamente (o per la parte residua se fosse stato notificato prima di sabato 7 marzo) con decorrenza dal 16 aprile e ciò potrà comportare, a seconda dei casi, anche il rinvio dell’udienza già fissata, ove risulti anteriore alla scadenza dei termini così posposti, come indica l’inciso relativo ai termini a ritroso sopra riportato. Se invece il giudice abbia fissato solo il termine per notificare l’atto e nulla abbia detto sui termini per costituirsi, questi andranno calcolati a seconda del tipo di procedimento; ad es. 10 giorni prima dell’udienza ex art. 702 bis c.p.c. se non sia stato indicato nulla nel decreto e quindi saranno termini a difesa tutti quelli che decorrono dalla notifica del ricorso e decreto fino a dieci giorni liberi prima dell’udienza. Questa soluzione si fonda sull’inciso dell’art. 83, comma 2, per il quale “ove il decorso del termine abbia inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso è differito alla fine di detto periodo”.

Si è poi deciso nel comma 7 lett. f) che le udienze in cui non occorre la presenza di soggetti diversi dai difensori, queste si possono svolgere mediante “collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia “; in questo modo però si perderà la possibilità di utilizzare qualsiasi sistema di collegamento che già tutti usiamo, quando sarebbe bastato consentire ogni tipo di collegamento, facendo verbalizzare dal giudice la presenza delle parti in collegamento remoto, come peraltro già impone il medesimo comma 7 sempre alla lett. f).

La lettera h) del comma 7) indica un percorso che si potrà tranquillamente adottare in modo stabile anche nel futuro, evitando così udienze spesso del tutto inutili, consentendo “lo svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice”.

Fonte: il Quotidiano Giuridico

Studio Giuliano e Di Gravio

Per info: segreteria@giulianoedigravio.it

 

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