Il dipendente italiano che lavora in Gran Bretagna paga le imposte solo all’estero
Se la Convenzione per evitare le doppie imposizioni prevede la tassazione solo nel Paese in cui viene svolto il lavoro dipendente, l’italiano che lavora in Gran Bretagna non può essere tassato nel nostro Paese. Ciò in quanto il potere impositivo, quale prerogativa esclusiva di uno Stato, può subire delle considerevoli limitazioni, fino a tradursi in una vera e propria rinuncia condizionata come accade nelle ipotesi previste e codificate dalle convenzioni bilaterali. A ribadirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24112 depositata il 13 ottobre 2017.
Un giornalista italiano residente in Inghilterra, ove svolgeva l’ attività di corrispondente estero, riceveva un avviso di accertamento, con il quale si recuperava a tassazione l’IRPEF e le addizionali, per omessa dichiarazione di redditi in Italia. Secondo l’Ufficio infatti il lavoratore dipendente avrebbe dovuto dichiarare comunque, anche in Italia, il reddito percepito all’estero ed assolvere gli obblighi tributari derivanti scomputando, nel caso le imposte pagate oltre confine. Il provvedimento veniva impugnato innanzi la Commissione tributaria provinciale che accoglieva il ricorso. In appello però la decisione era ribaltata: i giudici della CTR, ritenevano, infatti, sussistente l’obbligo di dichiarazione in Italia della retribuzione percepita e l’eventuale detrazione della corrispondente imposta versata nel Regno Unito. Il giornalista ricorreva in Cassazione sostenendo l’illegittimità del provvedimento, poiché emesso in violazione della convenzione tra Italia e Regno Unito sulla doppia imposizione.
La decisione
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 24112, depositata il 13 ottobre 2017, ha accolto il ricorso presentato dal giornalista.
In particolare, i giudici di legittimità hanno evidenziato l’illegittimità dell’avviso di accertamento in quanto contrastante con le disposizioni della Convenzione tra Italia e Regno Unito, stipulata il 21 ottobre 1988
Dette disposizioni prevalgono sulla normativa nazionale, in quanto di carattere speciale.
Secondo l’accordo bilaterale, nell’ipotesi di lavoro subordinato, come nel caso di specie, le retribuzioni e le analoghe remunerazioni , percepite da un residente di uno Stato contraente, sono imponibili solo in detto Paese, a meno che il suddetto impiego non venga sostenuto in un altro. La Convenzione bilaterale, continua la Corte, svolge, di fatto, la funzione di evitare la doppia imposizione, che rappresenta un ostacolo all’attività economica e di investimento internazionale. Tale scopo può essere perseguito seguendo due modalità differenti ed alternative: l’attribuzione del potere fiscale di riscossione in capo ad uno solo degli Stati coinvolti, corrispondente ad una rinuncia dell’altro; oppure mediante il credito di imposta.
Nella specie per il reddito dipendente in esame è stata scelta la prima soluzione. Da qui l’accoglimento del ricorso.
Ipsoa Quotidiano.
Per info e chiarimenti Studio Giuliano e Di Gravio