Professionisti. Stop alle presunzioni di maggior reddito

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La Consulta mette un freno alle presunzioni di maggior reddito sui prelevamenti da parte dei lavoratori autonomi

Premessa – La Fondazione Studi CdL, con il parere n. 4/2014, ha analizzato nel dettaglio l’intera disciplina riguardante gli accertamenti bancari nei confronti dei professionisti, alla luce del pronunciamento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 228 del 6 ottobre 2014. Sul punto, la sentenza ha sottolineato il carattere arbitrario nel presumere che ogni prelevamento dal conto corrente, non giustificato, sia di per sé un investimento produttivo, un compenso, quindi una parte di reddito non dichiarato. Una sentenza, questa, che sicuramente obbligherà l’Agenzia delle Entrate a rivedere le proprie posizioni nell’ambito delle indagini finanziarie sui professionisti, visto che i principi fissati dalla Corte di fatto cambiano il sistema probatorio sui prelevamenti da parte dei lavoratori autonomi.
Gli accertamenti bancari nei confronti dei professionisti è un tema che ha suscitato grandi divergenze, specie dopo che le norme degli ultimi anni hanno reso le indagini finanziarie particolarmente invadenti. Infatti, il rischio è quello di limitare le garanzie per i contribuenti che sono spesso costretti a un onere probatorio impossibile da dimostrare. I limiti di tale disciplina sono stati recentemente rilevati anche dalla Commissione Tributaria del Lazio che con l’ordinanza n. 27.29.2013 del 10 giugno 2013 ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 in relazione agli articoli 3, 24, 53 e 101 della Costituzione. Ed è proprio su questo rilievo che la posizione della Corte Costituzionale ha definito come le indagini finanziare devono essere applicate. In particolare, da un lato vi è il potere degli uffici di richiedere dati e notizie relative alle operazioni finanziarie, dall’altro, l’inversione dell’onere probatorio. È quindi il contribuente che in tali casi ha l’onere di giustificare il proprio operato, infatti, sovvertendo la regola principale in materia di accertamento tributario ai fini delle imposte sui redditi (ma anche dell’IVA), secondo la quale è l’Agenzia delle Entrate a dover dimostrare il fondamento della pretesa. La piena estensione degli accertamenti bancari anche ai professionisti, è avvenuta con la Finanziaria 2005 (L. n. 311/2004), che ha aggiunto all’originaria novella, anche i “compensi” quali elementi accertabili relativamente alle operazioni passive da parte dell’Agenzia della Entrate con effetti quindi ai fini del reddito di lavoro autonomo; in precedenza tale ipotesi era invece circoscritta ai “ricavi” con conseguenze ai fini del (solo) reddito d’impresa.I prelievi – Ciò detto, gli esperti della Fondazione Studi ritengono che sia ormai statuito che i prelevamenti non sono automaticamente fonti reddituali. Da un punto di vista operativo però, il professionista si trova in prima battuta a dover giustificare tali operazioni fornendo i dati del beneficiario, allo scopo di consentire all’amministrazione di ritenere giustificata l’operazione. Ne consegue che il contribuente non può limitarsi genericamente a fornire giustificazioni basate su semplici indizi, ma deve fornire prove convincenti dell’estraneità di tali operazioni all’attività professionale convincenti, anche se mediante l’utilizzo di presunzioni semplici. Tuttavia, possono venirsi a creare una serie di difficoltà, specie se il professionista proceda periodicamente a prelievi dal proprio conto corrente di quanto a egli occorrente per il sostenimento familiare. In tal caso, come può giustificare tale onere probatorio considerando che evidentemente il beneficiario risulta egli stesso? A tal proposito, i CdL affermano che per quanto concerne i versamenti, lo spazio di difesa per il contribuente è limitato sotto un profilo giuridico, mentre sul fronte dei prelevamenti non può esserlo in maniera analoga. Inoltre, la peculiarità del reddito di natura professionale è completamente differente rispetto a quello di impresa. Quest’ultimo si basa sul principio di “competenza”, quindi anche quando si ritenesse che un prelievo possa rappresentare un costo occulto, potrebbe in astratto essere servito per la determinazione di ricavi di competenza. Al contrario ciò non accade per il professionista, in quanto il reddito di lavoro autonomo si fonda sul principio di “cassa”, quindi il sostenimento di costi non significa la produzione contestuale di compensi. Pertanto, non può rappresentare il costo un indice di capacità contributiva.
Autore: Redazione Fiscal Focus
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