Banche e Fintech, le 12 regole della coopetition
Uno studio di McKinsey evidenzia i 6 punti di forza delle start-up nel business bancario ed assicurativo e i 6 imperativi digitali che le banche devono conoscere se vogliono continuare a essere competitive …
Mattia Schieppati
La prima cosa che le banche devono fare? «Filtrare tutto il “rumore di fondo” che si è creato intorno al tema delle start-up fintech e valutare, in maniera razionale, come la situazione che si presenta nei termini della “competition” può diventare un percorso di “coopetition”, di collaborazione competitiva». Il consiglio, ampiamente documentato (clicca qui per leggere l’articolo), viene da un pool di economisti e analisti di McKinsey (Miklos Dietz, Vancouver; Somesh Khanna, New York; Tunde Olanrewaju, London; Kausik Rajgopal, Silicon Valley) che hanno preso di petto uno dei temi più caldi per l’industry bancaria: la rivoluzione che nuove imprese ad alto contenuto tecnologico (dalle piccole start-up ai giganti come Google e Apple sbarcati nel mondo dei pagamenti) stanno portando nel campo finanziario e assicurativo da secoli presidiato dalle banche “tradizionali”. Due mondi che – osservano gli analisti – non necessariamente devono considerarsi in competizione.
L’approfondimento parte da una considerazione. Quello bancario è da sempre, fin dall’XI secolo, uno dei mondi economici più refrattari (e resistenti) alla disruption, ovvero al cambiamento delle regole e degli scenari. Nessun’altra formula, in quasi mille anni, è riuscita a superare i fondamentali che garantiscono alle banche il loro vantaggio competitivo:
- la presenza su territorio che significa rapporto di fiducia con i clienti,
- la possibilità di garantire credito per far crescere l’economia,
- la sicurezza nella custodia dei capitali.
In aggiunta a ciò, quella che in McKinsey chiamano la “consumers inertia”, ovvero la pigrizia con cui i consumatori affrontano le questioni di finanza personale e il timore verso i cambiamenti. Un elemento psicologico che fino a oggi ha giocato a favore dell’altrettanto diffusa “pigrizia” delle banche nel rinnovarsi e perseguire nuove strade.
«Tanti indicatori però ci dicono che oggi le cose stanno cambiando», dicono gli analisti. «Ad aprile 2015 un censimento globale indicava l’attività di 800 start-up fintech; al 31 dicembre 2015 il loro numero era già salito a 2.000. Non solo: a livello mondiale, venture capital e fondi di equity hanno investito complessivamente 23 miliardi di dollari nello sviluppo di realtà start-up in questo settore, 12,2 miliardi solo nel 2014 (vedi grafico 1). È evidente che qualcosa sta succedendo». In particolare, «sono 5 gli ambiti di business nei quali le banche retail rischiano di perdere, da qui al 2025, dal 10 al 40% del proprio fatturato a favore delle new entry fintech: gestione delle finanze personali, mutui, prestiti alle piccole imprese, pagamenti al dettaglio, wealth management».
McKinsey indica i 6 elementi che giocano a vantaggio dei nuovi player fintech e i 6 “imperativi digitali” che le banche tradizionali devono assolvere per non soccombere in questa competizione.
I 6 punti di forza delle start-up fintech
1. Elaborazione di modalità nuove e privilegiate di acquisizione dei clienti (attraverso anche l’uso intelligente dei nuovi canali digitali).
2. Riduzione del costo dei servizi, grazie alla diminuzione del rapporto costo-contatto (per esempio: anche solo l’aver bypassato la necessità di sedi fisiche sul territorio consente un minor “ricarico” di costi sul cliente).
3. Uso innovativo e mirato dei Big data, orientato al “servizio predittivo”, anticipando cioè le necessità dei clienti e facendo proposte mirate sui bisogni prossimi.
4. Specializzazione in segmenti specifici. In particolare, le start-up fintech guardano a tre tipi di “popolazioni”: i Millenials, il piccolo commercio i non bancarizzati.
5. Capacità di sfruttare infrastrutture già esistenti. Le start-up fintech sono partite in anticipo nel tentativo di sfruttare i vantaggi della coopetition, anziché innescare la competizione. L’alleanza con banche tradizionali nel fornire servizi che le banche ancora non coprivano ha permesso loro di crescere e affermarsi.
6. Gestione del rischio e rapporto con gli enti di regolamentazione. Per McKinsey questo è un punto di potenziale debolezza per i newcomers: «fino ad oggi molte di queste realtà hanno volato molto al di sotto dei radar regolatori», dicono: «quando dovranno attenersi a norme e regole sempre più stringenti, il loro modello di business reggerà?».
I 6 imperativi digitali per le banche tradizionali
1. Uso dei dati a disposizione e analisi in maniera olistica, costruendo un ecosistema di dati su ogni cliente, non strettamente legato alle sue necessità bancarie.
2. Creazione di strumenti di Customer experience funzionali ed accattivanti e abbandono del modello di comunicazione “one-size-fits-all”.
3. Sviluppo al proprio interno di professionalità sul digital marketing che prendano spunto dei giganti dall’e-commerce.
4. Abbattimento del costo-contatto attraverso una semplificazione radicale delle procedure, razionalizzazione e digitalizzazione dei processi.
5. Investimenti per l’acquisizione delle più evolute tecnologie e implementazione di queste ultime nei propri processi, dal mobile al cloud.
6. Ripensamento delle strutture organizzative esistenti e distribuzione dei poteri decisionali in un’ottica “digital oriented”.
Fonte: Bancaforte