La sentenza con cui il tribunale afferma l’illegittimità del licenziamento non è un titolo esecutivo se non consente di quantificare il credito. La corte di Cassazione (sentenza 18519) respinge il ricorso di un lavoratore che, in forza di una sentenza con la quale il tribunale aveva annullato il suo licenziamento, aveva chiesto al datore le retribuzioni maturate nei dieci anni in cui era stato allontanato dall’impresa.
Nel silenzio del datore il lavoratore si rivolto al giudice dell’esecuzione per un pignoramento presso terzi, per circa 155 mila euro: quanto a lui risultava dal calcolo delle mensilità non pagate. Un conteggio che era stato però fatto fare dal diretto interessato di cui non c’era traccia nella sentenza. Il magistrato competente aveva accolto la richiesta del datore di sospendere l’esecuzione per assenza di un titolo idoneo e rimesso la controversia nelle mani del giudice del lavoro.
Anche in quella sede il dipendente aveva continuato a puntare sulla sentenza con la quale il tribunale gli dava partita vinta e che rappresentava un valido titolo esecutivo essendo divenuta, con l’avallo della Suprema corte, definitiva e irrevocabile. Secondo il ricorrente nella decisione c’erano tutti i parametri per ricostruire il credito, in caso contrario chiedeva, in via riconvenzionale, il suo accertamento nell’esatta misura. Richiesta che non passa il vaglio del Tribunale che dichiara la nullità della precedura esecutiva. Non va meglio il ricorso in Cassazione. Il tribunale aveva sì dato ragione al lavoratore ma aveva omesso qualunque riferimento al contratto nazionale applicabile, nè si era preoccupato di mettere il giudice dell’esecuzione nella posizione di risalire al dovuto, fornendogli delle indicazioni sulle mansione del lavoratore, sulla qualifica o sulla retribuzione percepita. La Cassazione ricorda che al giudice dell’esecuzione va data una sentenza “chiavi in mano”, perché il titolo esecutivo si fonda su elementi certi e positivi, da identificare nei dati che, seppure «non menzionati in sentenza, sono stati assunti dal giudice come certi e oggettivamente già determinati, anche nel loro assetto quantitativo, perché così predisposti dalle parti e pertanto acquisiti al processo e non desumibili da elementi esterni». Al massimo quello che il giudice dell’esecuzione può fare, quando ha dei parametri, è procedere a un calcolo matematico. Se questo non è possibile la sola strada che resta al creditore è fare ricorso al procedimento monitorio, nell’ambito del quale la sentenza può essere utilizzata come atto scritto, a dimostrazione dell’esistenza del credito, il cui ammontare può essere provato con altri e diversi documenti. Mentre nel raggio d’azione del processo esecutivo non rientra l’accertamento dei diritti, ma solo la loro realizzazione pratica.
Fonte : ILSOLE24ORE.IT