CESSIONE DI RAMO D’AZIENDA:
I CONFINI GIURIDICI DELLA TUTELA.*
di Massimo Giuliano, avvocato, Studio Giuliano e Di Gravio
La sentenza della Corte di Cassazione in questione, riportata in calce al presente saggio, offre lo spunto per analizzare l’ambito di applicazione dell’art. 2112 c.c. alla luce delle recenti modifiche intervenute con il Dlgs n. 276/2003.
LA FATTISPECIE IN ESAME
Alcuni lavoratori si erano rivolti al Pretore di Genova affinché dichiarasse l’illegittimità del trasferimento d’azienda attuato senza il loro consenso, in considerazione del fatto che nel caso di specie non era configurabile la fattispecie di cessione di ramo d’azienda ma, semplicemente una cessione di c.d. servizi generali rappresentanti attività di puro costo, senza alcun legame tra loro. Il giudice di primo grado respingeva il ricorso mentre la Corte d’Appello di Genova dichiarava la nullità della cessione del contratto di lavoro negando la ricorrenza del trasferimento di ramo d’azienda, e quindi, la conseguente necessità del consenso del contraente ceduto. Giunta la vicenda a piazza Cavour i giudici della Suprema Corte respingevano il ricorso proposto dalla società asserendo che nel caso di specie è esclusa la configurabilità di un trasferimento aziendale, e, quindi, l’applicabilità dell’articolo 2112 del Codice civile, poichè la cessione non aveva ad oggetto un complesso di beni organizzati, ma, bensì, un gruppo di lavoratori addetti ad una struttura aziendale priva di autonomia organizzativa e caratterizzata dall’estrema eterogeneità delle funzioni degli addetti. Ad avviso della Corte il diritto positivo richiede per l’applicazione dell’articolo 2112 c.c. che sia ceduto un complesso di beni, che oggettivamente si presenti quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica, funzionalizzata allo svolgimento di una attività volta alla produzione di beni e servizi.