Sul tema delle compravendite di immobili pervenuti per donazione e/o successione ereditaria vi sono diverse criticità che impongono alcune cautele.
Spesso la madre o il padre donano in vita ad uno dei propri figli un immobile senza considerare le conseguenze giuridiche che tale “operazione” può produrre sulla futura circolazione dell’immobile o senza considerare le implicazioni che possono scaturire al momento della successione.
I problemi, però, possono verificarsi al momento dell’apertura della successione, in quanto, operando il meccanismo di riunione della c.d. “massa fittizia” e cioè la somma aritmetica (sulla carta) del relictum più il donatum in vita, sulla cui base avviene il calcolo della quota disponibile e della quota di legittima, i legittimari ove la propria quota sia stata lesa, possono esercitare alcune azioni volte a reintegrare detta quota. Tali azioni sono:
(i) l’azione di riduzione: che rende inefficaci le donazioni compiute dal de cuius in pregiudizio delle ragioni del legittimario, è soggetta alla prescrizione ordinaria decennale, che decorre dalla data di apertura della successione e non dalla donazione;
(ii) l’azione di restituzione: prevede che il legittimario leso e vittorioso nell’azione di riduzione, nel caso in cui il donatario non abbia altri beni sui quali soddisfare le proprie ragioni e abbia ceduto a terzi l’immobile (artt. 561 – 563 c.c.), potrà esperire l’azione di restituzione nei confronti del terzo acquirente.
Tale azione può essere esercitata comunque entro 20 anni dalla trascrizione della donazione. Tale termine ventennale, può essere sospeso mediante la proposizione di un atto stragiudiziale di opposizione alla donazione, notificato al legittimario–donatario e ai suoi aventi causa e trascritto nei pubblici registri (ex art. 563, 4 comma, c.c.).
Il donatario che volesse alienare il bene avrebbe, quindi, estrema difficoltà a reperire sul mercato un acquirente disposto a correre il rischio di una possibile azione di restituzione per un arco temporale così lungo.
Non solo, l’azione di restituzione colpisce colori che al momento dell’esercizio dell’azione di restituzione sono proprietari del bene, così che anche l’eventuale ulteriore vendita dal terzo ad un altro soggetto presenterebbe i medesimi problemi, con un forte disincentivo alla circolazione del bene.
Il Rent to Buy
Una soluzione potrebbe giungere dal decreto legge n. 133 del 12 settembre 2014 c.d. “Sblocca Italia”, che dovrà essere convertito in legge entro il prossimo 11 novembre, e che regolamenta la forma contrattuale che sta assumendo una crescente rilevanza nel mercato immobiliare, il c.d. Rent to Buy.
Il decreto, recante “Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle
opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive”, introduce all’art. 23 la disciplina dei contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili.
In sintesi con il Rent to Buy “affitto per poi acquistare” il proprietario concede in godimento un immobile, abitativo o non abitativo, con il diritto per il conduttore di acquistarlo, entro la data fissata, imputando una parte del canone di locazione, espressamente specificata nel contratto, a prezzo di acquisto.
In caso di inadempimento del conduttore, il proprietario ha diritto alla restituzione dell’immobile e, salvo diversi accordi, acquisisce per intero i canoni versati, mentre se è il proprietario da essere inadempiente, il conduttore ha diritto alla restituzione della parte dei canoni imputata al corrispettivo maggiorati degli interessi legali.
Le parti possono sottoscrivere un contratto di locazione che prevede l’immediata concessione del godimento di un immobile, con diritto per il conduttore di acquistarlo entro un termine determinato imputando al corrispettivo del trasferimento la parte di canone indicata nel contratto, sono trascritti ai sensi dell’articolo 2645-bis codice civile.
Le disposizioni dell’art 23 si applicano anche ai contratti di locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti e di vendita con riserva di proprietà, stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto 133.
Il panorama fiscale della vendita con riserva di proprietà
Dal punto di vista fiscale, la vendita con riserva di proprietà ha un punto debole perché, trattandosi di un contratto di compravendita a tutti gli effetti, prevede che le tasse vengano pagate fin da subito. Inoltre, a carico dell’acquirente, sono l’imposta sull’immobile, le tasse sui rifiuti, le spese ordinarie e straordinarie manutentive e quelle di ristrutturazione.
Il legislatore non è inoltre intervenuto sulla disciplina da applicare per l’IVA e per l’imposta di registro e rimangono quindi valide le regole già statuite dalle norme attuali.
A tale proposito si ricorda che, per quanto concerne l’IVA, il combinato disposto dell’art. 2 e dell’art. 6 del D.P.R. n. 633/72 comporta che per i contratti di vendita con riserva di proprietà e per quelli di locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti il corrispettivo statuito per la cessione va interamente assoggettato ad IVA al momento della stipulazione del contratto (per i beni immobili) e al momento della consegna o spedizione (per i beni mobili). Una analoga regola vale anche per l’imposta di registro in forza di quanto disposti dall’art. 27, comma 3 del D.P.R. n. 131/86.
Alessandro Badii
Studio Giuliano e Digravio