Sentenza Tribunale Busto Arsizio 1 ottobre 2014
Non può qualificarsi con continuità aziendale un piano che preveda la cessione dell’azienda immediatamente dopo il decreto di omologazione (ipotesi configurabile ogniqualvolta si sia in presenza di una offerta irrevocabile di acquisto il cui perfezionamento è attuabile subito dopo la chiusura della procedura), perché in tal caso non vi è spazio per alcun esercizio dell’azienda da parte del debitore nella fase esecutiva del concordato né vi è alcun rischio di impresa gravante sui creditori sociali. A maggior ragione, non si potrebbe mai configurare un concordato preventivo in continuità nel caso in cui l’attività di impresa fosse di fatto cessata già alla presentazione della domanda o nelle more dell’omologazione, secondo quanto precisato dall’art. 186bis, ultimo comma, L.F.
L’art. 186bis L.F. sul concordato in continuità è stata collocata nel Capo Sesto della Legge Fallimentare rubricato “Dell’esecuzione, della risoluzione e dell’annullamento del concordato preventivo” ed appare altresì confortata dalla previsione di cui al secondo comma di tale norma: sia i “flussi” indicati nella lettera a) che la relazione prevista dalla lettera b), infatti, riguardano, testualmente, “la prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano di concordato”.
Sul punto, ritiene il Tribunale di dover condividere l’orientamento giurisprudenziale che ha evidenziato l’inconferenza della predetta disciplina, che impone la elaborazione di un vero e proprio bilancio previsionale dell’attività di impresa destinata a proseguire (con l’indicazione del fabbisogno finanziario e delle modalità con cui farvi fronte) ed un particolare contenuto della relazione del professionista (che deve attestare che il mantenimento dell’attività imprenditoriale sia idoneo a far conseguire ai creditori un soddisfacimento migliore rispetto all’alternativa liquidatoria), rispetto alle ipotesi in cui il pagamento dei creditori non dipenda dalla prosecuzione dell’attività – neppure indirettamente sub specie di canone d’affitto parametrato all’andamento della gestione svolta dall’affittuario – e pertanto non vi sia alcuna necessità di garantire i creditori concorsuali dai rischi connessi a tale prosecuzione.
Sono da escludersi dal novero della continuità̀ aziendale tutte le fattispecie concordatarie (non oggetto del presente giudizio ma assai diffuse nella pratica) caratterizzate dalla presenza di un contratto di affitto d’azienda. In particolare, non rientrano nella nozione di concordato con continuità̀ aziendale le ipotesi in cui tale contratto, sia pure corredato da un impegno irrevocabile di acquisto da parte dell’affittuario, sia stato stipulato prima del deposito della domanda ex art. 161 L.F. o comunque prima dell’omologazione, atteso che il piano così strutturato non potrà̀ contemplare l’esercizio dell’impresa come elemento di acquisizione del fabbisogno per il soddisfacimento dei creditori e posto che la cessione dell’azienda avverrà̀ quando questa non sarà più̀ in esercizio da parte del debitore. Sul punto, si osserva inoltre che se l’ottica del legislatore fosse stata quella di considerare in continuità̀ il concordato preventivo che prevede l’affitto dell’azienda nella fase esecutiva, cioé dall’omologazione in avanti (o perché́ già̀ in essere a quel momento o perché́ già stipulato e sospensivamente condizionato all’omologazione), con impegno irrevocabile dell’affittuario ad acquistare l’azienda, lo stesso trattamento in termini di qualificazione avrebbe dovuto essere dato all’affitto fine a se stesso cioé privo della previsione della cessione: in entrambi i casi, infatti, il fabbisogno del Concordato deriva da proventi (canoni e prezzo di cessione nel primo caso e solo canoni nel secondo caso) certi e predeterminati (salva la questione della solvibilità̀ dell’affittuario- acquirente che però non incide sulla qualificazione del Concordato). Il Legislatore, invece, affermando espressamente che la prosecuzione dell’attività̀ d’impresa rileva solo quando é portata avanti dal debitore, ha inteso inequivocabilmente escludere dall’alveo del concordato in continuità quello nel quale il piano prevede esclusivamente l’affitto (e quindi la prosecuzione dell’attività̀ d’impresa da parte dell’affittuario) ed il pagamento dei creditori con i proventi derivanti dal canone. In conclusione, il concordato può essere ricondotto all’istituto di cui all’art. 186bis l.F. in tutte le ipotesi in cui il debitore prosegue nell’esercizio dell’impresa dopo l’omologazione: in via temporanea perché́ in vista di una cessione (anche eventualmente preceduta dall’affitto purché lo stesso intervenga dopo un periodo di gestione da parte del debitore) o in via definitiva perché in prosecuzione diretta in vista di un risanamento.
Sentenza Tribunale Busto Arsizio 1 ottobre 2014