Confisca per equivalente e novità giurisprudenziali

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Come noto, l’istituto della confisca per equivalente in ambito penale – tributario è stato introdotto dallalegge 24 dicembre 2007, n. 244 (Legge Finanziaria 2008), la quale, al comma 143 dell’art. 1, ha espressamente previsto l’estensione dell’efficacia dell’art. 322-ter c.p. a determinate ipotesi di reato previste dal D.Lgs. n. 74/2000.

Nello specifico, il legislatore ha stabilito che “Nei casi di cui agli articoli 2, 3, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, si osservano in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’articolo 322-ter del codice penale”.

Dal canto suo, invece, l’art. 322-ter c.p., al comma 2, prevede che “… è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a quello di detto profitto …”.

Orbene, la confisca per equivalente nei reati tributari, così come disciplinata dal legislatore, ha natura prettamente sanzionatoria, a differenza della confisca disciplinata dall’art. 240 c.p. che, rientrando tra le misure di sicurezza con finalità di prevenzione resta collegata alla pericolosità oggettiva del bene confiscato.

Proprio la sua natura sanzionatoria ha fatto si che la norma che la disciplina non potesse essere considerata retroattiva.

Anche recentemente la Suprema Corte (Cass. 5 maggio 2014, n. 18308 ha avuto modo di ribadire che la confisca per equivalente, introdotta per i reati tributari dalla Legge n. 244/2007, articolo 1, comma 143, ha natura eminentemente sanzionatoria e, quindi, non essendo estensibile ad essa la regola dettata per le misure di sicurezza dall’articolo 200 c.p., non si applica ai rati commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge citata.

Peraltro, a tal riguardo, occorre rilevare che, proprio per la sua natura, la funzione sanzionatoria della confisca per equivalente viene meno laddove venga effettuato il versamento dell’imposta evasa.

Il versamento, infatti, realizza l’eliminazione dell’ingiustificato arricchimento derivante dalla commissione del reato ed impedisce, perciò, che, attraverso l’impiego di beni di provenienza delittuosa o del loro equivalente, il colpevole possa assicurarsi il vantaggio economico, oggetto specifico del disegno criminoso (Cass. 4 aprile 2014, n. 15416).

Come precisato dalla norma, affinchè possa procedersi alla confisca per equivalente è necessario che sia posto in essere uno dei delitti disciplinati dal Decreto Legislativo n. 74/2000, ad eccezione del reato previsto dall’art. 10 (occultamento o distruzione di scritture contabili).

Tale esclusione è motivata dal fatto che per il delitto in questione difficilmente si può ipotizzare la realizzazione di un profitto: siamo di fronte, infatti, ad un reato di pericolo per il quale il legislatore ha correttamente deciso per la non inclusione.

Affinchè, poi, possa procedersi alla confisca per equivalente è necessario che mediante l’esecuzione del delitto venga raggiunto un profitto il quale, peraltro, al fine dell’applicazione della misura sanzionatoria, dovrà essere effettivamente commisurato e valutato.

Di regola, tale profitto corrisponde all’ammontare dell’imposta evasa, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di profitto del reato, costituito dal risparmio economico conseguente alla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui certamente beneficia il reo; a tal fine, per la quantificazione di questo risparmio, deve tenersi conto anche del mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute in seguito all’accertamento del debito tributario.

Deve infatti ribadirsi il principio, desumibile dalla semplice lettura dell’articolo 322 ter c.p., secondo cui il sequestro e la confisca per equivalente non presuppongono alcuna dimostrazione di uno specifico nesso di strumentalità tra la res e il reato, potendo essere imposti su qualsivoglia bene afferente al patrimonio dell’autore del reato e bastando quale presupposto il solo fumus della consumazione del reato stesso.

Tale conclusione risulta ulteriormente avvalorata dalla natura sanzionatoria dell’istituto, la cuiratio è quella di privare il reo di qualunque beneficio economico dell’attività criminosa, anche di fronte all’impossibilità di aggredire l’oggetto principale, nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale strumento, con la conseguenza, appunto, della confiscabilità di beni che, oltre a non avere alcun rapporto con la pericolosità individuale del reo, neppure hanno collegamento diretto con il singolo reato.

Infine, si rileva come la Corte di Cassazione, con la recente sentenza 25 marzo 2014, n. 13990 ha avuto modo di ribadire come, in tema di reati tributari, è possibile procedere alla confisca diretta del profitto del reato commesso dal legale rappresentante o da altro organo della persona giuridica, quando il profitto sia rimasto nella disponibilità dell’ente.

Mentre, al contrario, poiché in materia di reati tributari non è prevista la responsabilità dell’ente, così come disciplinata dal Decreto Legislativo n. 231/2001, non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti della persona giuridica, qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa; e ciò salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio attraverso cui l’amministratore abbia agito come effettivo titolare, giacché, in tale evenienza, la trasmigrazione del profitto del reato in capo all’ente non si atteggerebbe alla stregua di un trasferimento effettivo di valori, ma quale espediente fraudolento non dissimile dalla figura dell’interposizione fittizia, rimanendo, cioè, il bene sempre nella sostanziale disponibilità dell’autore del reato e solo in apparente vantaggio dell’ente (Cass. 25 marzo 2014, n. 13990).

 

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