Il Jobs act prevede dei limiti numerici ai contratti a termine stipulabili da ciascun datore di lavoro. Dall’applicazione concreta di tali limiti, però, emergono numerose problematiche pratiche di notevole rilievo, in considerazione del regime sanzionatorio previsto in caso di violazione.
Se da un lato, il Jobs act (legge n. 76/2014 di conversione al decreto legge n. 342014) ha esteso da uno a tre anni la durata dei contratti “acausali”, dall’ altro, ha inserito puntuali limiti numerici alle assunzioni a termine, precedentemente previsti solo dalla contrattazione collettiva di settore.
Criteri di calcolo dei limiti numerici
Come sopra anticipato, il Legislatore, modificando l’art. 1, D.lgs. n. 368/2001, ha previsto che:
Il numero complessivo di contratti a termine stipulati da ciascun datore di lavoro non possa superare la soglia del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1°gennaio dell’anno di assunzione. Ad ogni modo, per i datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti a tempo indeterminato, è sempre possibile assumerne uno a tempo determinato.
Anche se la norma esprime un chiaro intento politico, non sembra brillare per puntualità in ordine ai criteri di calcolo della soglia del 20%.
In primo luogo, con una scelta discutibile, è stato deciso di congelare al 1° gennaio la determinazione della base di calcolo del 20%. Sebbene la scelta renda maggiormente semplice il calcolo rispetto ad un criterio legato alla media occupazionale dell’ultimo semestre, potrebbe rivelarsi inadeguata a fotografare la situazione occupazionale dell’azienda al momento delle assunzioni a tempo determinato.
In altre parole, tale scelta finirebbe per favorire quelle imprese che nel corso dell’anno hanno provveduto a sfoltire il personale a discapito di quelle che, in forza acquisizioni aziendali e cambi di appalto, lo hanno incrementato. Al di la di tale scelta legislativa, appare indubbio come le difficoltà in ordine alla determinazione della base di calcolo muovano dal silenzio legislativo ed amministrativo in ordine al computo di alcune figure lavorative a tempo indeterminato. Si pensi ai part-timer, agli apprendisti ed ai lavoratori “a chiamata”.
Partendo dai contratti part-time, il dubbio potrebbe porsi in ordine al loro computo, ed in particolare, se privilegiare un calcolo c.d. “per testa” o in proporzione alle ore lavorative. Il nodo potrebbe esser sciolto facendo riferimento all’art. 6, D.lgs. n. 61/2000, secondo cui “ in tutte le ipotesi in cui, per disposizione di legge o di contratto collettivo, si renda necessario l’accertamento della consistenza dell’organico, i lavoratori a tempo parziale sono computati nel numero complessivo dei dipendenti in proporzione all’orario svolto”.
La medesima problematica riguarda i lavoratori intermittenti, i quali, ai sensi dell’art. 39, D.lgs. n. 276/2003, vanno computati “ai fini della applicazione di normative di legge, in proporzione all’orario di lavoro effettivamente svolto nell’arco di ciascun semestre”. Tale criterio, rapportato alla fattispecie in analisi, si tradurrebbe, nel considerare il semestre precedente al 1°gennaio dell’anno in cui il datore di lavoro procede alle assunzioni a tempo determinato.
Riguardo agli apprendisti, occorre premettere che gli stessi, ai sensi dell’art. 1, D.Lgs. 167/2011, sono considerati, a tutti gli effetti, dei lavoratori a tempo indeterminato. Tuttavia, l’art. 7, comma 3, del medesimo decreto stabilisce: “ fatte salve specifiche previsioni di legge o di contratto collettivo, i lavoratori assunti con contratto di apprendistato sono esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l’applicazione di particolari normative e istituti.”
Una volta stabilita la base di calcolo, occorre esaminare le modalità di calcolo del numero dei contratti a termine attivabili dal datore di lavoro.
In primo luogo, si osserva come, ai fini del superamento della soglia del 20%, vadano esclusi tutti quei contratti a termine espressamente esonerati dal rispetto di tale limite numerico nonché quelli che sfuggono dall’ambito applicativo del D.Lgs. n. 368/2001. Conseguentemente, non andranno considerati:
· i contratti stipulati con il personale dirigente;
· i contratti di lavoro a termine stipulati tra istituti pubblici di ricerca ovvero enti privati di
ricerca e lavoratori che svolgono in via esclusiva attività di ricerca scientifica o tecnologica, ovvero di assistenza tecnica, di coordinamento o di direzione a tale attività (art.10, co. 5-bis, D. Lgs. n. 368/2001);
· i contratti stipulati per ragioni sostitutive;
· i contratti cc.dd. stagionali così come enucleati nel D.P.R. n. 1525/1963;
· i contratti stipulati con lavoratori con più di 55 anni;
· i contratti stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA;
· i contratti a termine stipulati coi lavoratori iscritti alle liste di mobilità ai sensi dell’art. 8, comma 2, L. n. 223/1991;
· i contratti volti all’assunzione di operai agricoli;
· i contratti “a chiamata” a tempo determinato (interpello del Ministero del Lavoro n. 72/2009);
· i contratti cc.dd. extra nel settore turistico e dei pubblici esercizi, aventi ad oggetto l’esecuzione di quei servizi speciali (definiti dalla contrattazione collettiva) per non più di tre giorni;
· i contratti stipulati dalle aziende che fanno import/export di prodotti ortofrutticoli;
· i lavoratori somministrati;
· i contratti stipulati in fase di avvio di una nuova attività per i periodi ed i settori merceologici definiti dal Ccnl applicato in azienda.
Fatte queste precisazioni, non si può non sottolineare come il risultato scaturente dal calcolo del 20%, possa contenere delle cifre decimali e che, pertanto, potrebbe porsi il dubbio di una approssimazione dello stesso per eccesso o per difetto. La capienza lasciata dalla cifra decimale, infatti, potrebbe rivelarsi insufficiente rispetto ad una nuova assunzione part-time che sia ossequiosa dei limiti orari previsti dalla contrattazione collettiva.
Deroghe contrattuali al limite del 20%
Il novellato art. 10, comma 7, D.Lgs. n. 368/2001 subordina l’applicazione del limite del 20% all’assenza di una statuizione collettiva che fissi una percentuale inferiore o superiore. I contratti nazionali di settore, siglati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, sembrano, tuttavia, poter incidere non solo sulla predetta percentuale, ma anche;
· sui criteri di determinazione della base di calcolo; si pensi all’accordo stipulato da Federalberghi in data 16/06/2014 che, tra le altre, include nella base di computo anche gli apprendisti.
· sulla previsione di attività stagionali, le quali, si ricorda, farebbero venir meno qualsiasi limite numerico all’assunzione di lavoratori a termine;
· sulla previsione di periodi temporali di mancata o difforme applicazione dei predetti limiti, in riferimento alla fase di avvio di nuove attività.
Il primato della fonte collettiva è ancor più apprezzabile, se sol si pensi come la propria vis derogatoria riguardi anche le statuizioni contrattuali antecedenti all’entrata in vigore della legge n. 76/2014. In altre parole,
I contratti a termine stipulati dopo l’entrata in vigore della disposizione legislativa in analisi continueranno a sottostare ai limiti contrattuali precedentemente fissati e non a quelli di fonte legale.
Tale circostanza, tuttavia, potrà verificarsi solo in sede “di prima applicazione”, ovvero fino a quando non si arriverà al rinnovo dei contratti collettivi che, a questo punto, potranno, in virtù della delega conferita dall’ art. 10, comma 7, D.Lgs. n. 368/2001, prevedere (a regime) dei limiti in deroga. Conseguentemente, la soglia legale del 20% si applicherà solo a quelle aziende che applicano un contratto collettivo rimasto silente sul punto.
Anche se le deroghe di cui sopra non sembrano attuabili in sede di contrattazione aziendale, occorre ricordare come gli accordi di prossimità ex art. 8, D.L. n. 138/2001 siano sempre in grado di prevedere una regolamentazione autonoma dei contratti a termine e, pertanto, siano in grado di incidere anche sui limiti numerici in analisi.
Il regime sanzionatorio
Per la violazione dei limiti legali o contrattuali, in luogo della vecchia sanzione civilistica avente ad oggetto la conversione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato, viene prevista una sanzione amministrativa:
a) pari al 20 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non sia superiore a uno;
b) pari al 50 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto
Preliminarmente non può sfuggire come la disciplina sanzionatoria in analisi sia al quanto singolare in materia di lavoro dove, di norma, vengono previste delle sanzioni pecuniarie amministrative già determinate, quantomeno nella misura minima e massima. Contrariamente, nella fattispecie in esame, la sanzione varia in ragione delle retribuzioni maturate dal lavoratore a termine “eccedente” e del lasso di tempo intercorrente dal momento della sua assunzione e quello in cui viene accertato il superamento del limite numerico.
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Chiaramente, qualora il contratto a termine “eccedente” sia già cessato al momento dell’ accertamento ispettivo, la sanzione andrà calcolata considerando tutto il periodo lavorativo, o meglio, tutte le spettanze retributive maturate durante l’intero arco temporale del rapporto contrattuale.
Il concetto di retribuzione
Anche il riferimento normativo alle retribuzioni lascia qualche dubbio interpretativo in ordine al concreto calcolo della sanzione in esame. Dando, infatti, per scontato che la norma si riferisca alle spettanze al lordo delle trattenute previdenziali e fiscali, occorre capire se alluda ad un concetto onnicomprensivo della retribuzione mensile (comprensivo, appunto, delle spettanze differite e non) ovvero solo a quelle poste retributive immediatamente esigibili. In attesa di chiarimenti ministeriali, sembrerebbe preferibile la prima soluzione, dal momento che calcolare le spettanze retributive secondo (per così dire) un principio di “cassa”, vorrebbe dire far variare l’importo della sanzione a seconda del periodo dell’anno in cui viene accertata l’eccedenza.
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Sembra, invece, abbastanza scontato che ai fini della determinazione della retribuzione utile al calcolo della sanzione, vadano conteggiate anche le assenze retribuite e/o indennizzate dagli Istituti.
La sanzione maggiorata al 50% della retribuzione
Un ulteriore dubbio sembra rinvenibile dal tenore letterale della norma: in particolare, se la sanzione maggiorata (ovvero quella riguardante una pluralità di lavoratori) vada calcolata sulla somma delle retribuzioni dei lavoratori eccedenti o su quella maturata solo da un dipendente. Qualora si opzionasse per quest’ultima soluzione, la retribuzione da prendere a riferimento (nelle ipotesi di 3 o più eccedenze) potrebbe essere, secondo il principio tempus regit actum, quella maturata dal secondo lavoratore che, in ordine cronologico, abbia generato l’eccedenza.
Applicabilità della diffida obbligatoria
In ultimo, non può sottacersi la problematica inerente l’applicazione della diffida obbligatoria ex art. 13, D.lgs. 124/2004. Sebbene la violazione in parola sia materialmente sanabile (attraverso, ad esempio, la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto lavorativo eccedente), non si può dimenticare come l’istituto premiale della diffida si applichi solamente a quelle sanzioni stabilite in misura minima e massima nonché a quelle in misura fissa. Nel caso di specie, potrebbe parlarsi di una sanzione fissa solo “virtuale”, nel senso che una volta accertati i presupposti del calcolo, si giungerebbe comunque alla determinazione di una sanzione in misura fissa, o meglio, non definita con un importo minimo e massimo. Qualora si dovesse accedere a tale interpretazione, l’ottemperanza alla diffida consentirebbe al datore di lavoro di pagare una sanzione pari ad un quarto di quella scaturente dal calcolo del 20% – 50% della retribuzione del lavoratore eccedente.
Periodo transitorio
Appare scontato come la sanzione di cui sopra non sia applicabile nei confronti dei datori di lavoro che hanno assunto il personale eccedente prima dell’entrata in vigore della stessa ovvero prima del 19/05/2014. In tal caso, oltre a soggiacere alla vecchia sanzione civilistica, il datore di lavoro dovrà necessariamente rientrare nel limite legale o contrattuale entro il 31/12/2014. Diversamente, sebbene non sia applicabile la nuova sanzione amministrativa, al datore di lavoro viene inibita, in ogni caso, la possibilità di stipulare ulteriori contratti a termine.
Fonte : ipsoa.it