Correità del consulente per il falso trust
La creazione di un trust finalizzato a evadere le imposte fa scattare il reato di sottrazione fraudolenta anche se nelle casse della società resta denaro sufficiente per pagare il fisco.
La Corte di cassazione, con la sentenza 6798, conferma la corresponsabilità di un consulente nel reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (articolo 11 del Dlgs 74/2000) pur accogliendo il suo ricorso in merito alla confisca per equivalente dei suoi beni. Il tribunale aveva confermato il decreto di sequestro preventivo nei confronti del professionista accusato di aver aiutato il titolare di una società a mettere i bastoni fra le ruote di Equitalia nel recuperare un credito da evasione fiscale. Un coinvolgimento che risultava dai file contenuti nel personal computer del contabile, sequestrati dalla Guardia di finanza. Due le strade per mettere in atto il «depauperamento della società»: la costituzione di un trust, nel quale era stata triangolata la convivente del titolare della società, e la cessione di un immobile.
Pronto era scattato il ricorso del consulente secondo il quale il trust non aveva ricevuto conferimenti e il patrimonio della società “copriva” le pretese di Equitalia.
Inoltre, ad avviso del ricorrente, la Guardia di Finanza aveva illegittimamente sequestrato i file e altrettanto illegittimamente si era dato corso alla confisca dei suoi beni, per un valore superiore al dovuto e senza prima verificare la possibilità della confisca diretta presso la società che dal reato aveva tratto profitto.
Questi ultimi due motivi sono accolti e i primi respinti.
I giudici della Terza sezione penale precisano che la capienza della società rispetto alle rivendicazioni del Fisco non è rilevante ai fini di un reato di pericolo e non di danno. La stessa costituzione del trust mette, infatti, a rischio, la garanzia patrimoniale del credito fiscale «potendo in qualsiasi momento essere ceduto ad esso». Valida anche la prova attraverso la quale si è accertato il ruolo di primo piano svolto dal ricorrente nell’operazione simulata. La Cassazione precisa che il sequestro dei file resta valido in quanto corpo del reato, anche se la perquisizione non era legittima.
Passa invece il ricorso in merito alla confisca per equivalente. Errata la decisione del tribunale nel quantificare le somme basandosi sull’imposta evasa quando, nel reato esaminato, il profitto va individuato nel valore dei beni “sfilati” all’esecuzione fiscale, essendo la ratio della norma la tutela della garanzia generica del credito tributario e non il credito in quanto tale.
Fondato il ricorso anche per quanto riguarda la mancata verifica della possibilità di procedere alla confisca diretta sul patrimonio della società debitrice, o presso chiunque detenga il profitto del reato.
FONTE: Il Sole 24 Ore
Studio Giuliano e Di Gravio