Ai fini dell’esperimento dell’azione revocatoria fallimentare, la retrodatazione del periodo sospetto al momento di apertura della procedura di concordato preventivo (ove non sia applicabile temporalmente la novella dell’art. 69 bis L.F.) è espressione del concetto di consecuzione delle procedure concorsuali (a carico del medesimo imprenditore e integranti una medesima crisi economica di diversa gradazione), quali fasi di un procedimento unitario.
A tal fine, la sentenza di fallimento può contenere un accertamento, con valenza di giudicato nel successivo giudizio revocatorio, del fatto che il debitore si trovasse in stato di insolvenza al momento della pronuncia del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo e, in assenza di tale accertamento, qualora al concordato preventivo segua il fallimento, è possibile legittimamente presumere che il debitore si trovasse ab origine in stato di insolvenza, comprovato ex post dalla sopravvivenza del fallimento.
Così si è espresso il Tribunale di Monza nel decreto in commento.
Tale principio, evidenzia il Tribunale, aveva già avuto l’autorevole avallo della giurisprudenza di legittimità, che aveva dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 67 l. fall. nella parte in cui la norma, nell’interpretazione allora corrente, fissava il dies a quo per l’esperimento dell’azione revocatoria alla data di ammissione alla procedura minore (Cass. 3 febbraio 2006, n. 2437), e ora alcune considerazioni militano a favore di un recupero di tale principio giurisprudenziale.
In particolare, il Tribunale richiama una pronuncia della Suprema Corte (Cass. 18437/2010-9) secondo cui, “qualora a seguito di una verifica a posteriori venga accertato, con la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore, che lo stato di crisi in base al quale ha chiesto la ammissione al concordato preventivo era in realtà uno stato di insolvenza, la efficacia della sentenza dichiarativa di fallimento, intervenuta a seguito della declaratoria di inammissibilità della domanda di concordato preventivo, deve essere retrodatata alla data di presentazione di tale domanda, atteso che la ritenuta definitività anche della insolvenza che è alla base della procedura minore, come comprovata, ex post, dalla sopravvenienza del fallimento, e, quindi, l’identità del presupposto, porta ad escludere la possibilità di ammettere, in tal caso, l’autonomia delle due procedure”.
La ratio di tale decisione è assicurare una tendenziale parità di trattamento giuridico ed un’adeguata tutela a tutti i creditori in ogni fase della consecuzione di procedure. In particolare, precisa il Tribunale, la tutela degli interessi dei creditori verrebbe ad essere irrimediabilmente elusa ove si negasse il principio della consecuzione, in quanto, altrimenti, non sarebbe quasi mai possibile esperire azioni revocatorie nel successivo fallimento, data la durata media delle procedure di concordato preventivo.
(Altalex, 24 settembre 2014. Nota di Giuseppina Mattiello)