I dati della lista Falciani hanno valore indiziario.
I dati della lista Falciani hanno valore indiziario e consentono all’Amministrazione finanziaria di emettere un valido accertamento tributario.
È quanto ribadisce la corte di Cassazione – sezione sesta – con l’ordinanza 13 maggio 2015 n. 9760.
L’Agenzia delle Entrate ha ottenuto l’annullamento, con rinvio, del verdetto della CTR Veneto riguardo a un avviso di accertamento a fini IRPEF e IRPEG nei confronti di un medico sulla base dei dati rilevati dalla c.d. lista Falciani.
Secondo il giudice dell’appello, a prescindere dalla questione concernente l’illecita acquisizione dei dati, la scheda clienti utilizzata dall’Ufficio non aveva valore probatorio, stante la mancanza di alcun riscontro con la banca e l’impossibilità di attribuirne con certezza la provenienza.
Dal canto suo l’Ufficio ha dedotto la piena utilizzabilità dei dati attinti dalla lista, in quanto aventi valore indiziario e comunque supportati da altri elementi come le numerose esperienze professionali del contribuente all’estero, la discrasia rappresentata dall’assenza di redditi da attività professionali nelle dichiarazioni presentate e la mancanza di denunzia nei confronti dei terzi che “a sua insaputa e a suo nome” avrebbero aperto il conto in Svizzera. Insomma, tutti questi elementi, ove adeguatamente considerati, avrebbero dovuto far ritenere provato che il rapporto della scheda clienti era riferibile al contribuente.
Ebbene, la Suprema Corte ha pienamente condiviso la tesi dell’Ufficio, che pertanto ha lamentato a buon diritto la violazione, da parte della CTR del Veneto, degli artt. 2697, 2727 e 2729 del codice civile.
Gli ermellini, in particolare, hanno osservato che il raffronto fra gli indizi disponibili e la conseguente scelta di quelli che conducono alla decisione è senza dubbio compito del giudice di merito. Rientra invece nel giudizio di legittimità valutare che gli indizi possiedano una qualche capacità probatoria. In caso contrario la valutazione circa l’astratta idoneità probatoria di un indizio potrebbe essere vanificata contrapponendovi circostanze prive di qualunque rilevanza, come è appunto accaduto nel caso di specie.
Non rileva, infatti, la circostanza che il fisco italiano non abbia verificato presso la banca elvetica i dati contenuti nella lista, essendo ben noto che il segreto bancario in Svizzera, all’epoca dei fatti, non consentiva alcuna acquisizione di conforto al contenuto della lista. Infatti, la semplice allocazione delle attività finanziarie in Svizzera, grazie al segreto bancario vigente fino al 23.2.2015 – epoca in cui è stato stipulato l’Accordo fa i due Paesi in tema di scambio d’informazioni su richiesta ai fini fiscali – consentiva l’occultamento al fisco italiano della disponibilità delle stesse in capo al contribuente nazionale.
Parimenti erroneo, per la Cassazione, è il riferimento operato dalla CTR all’assenza di carta intestata sulla quale era stata redatta la scheda clienti in questione, avendo lo stesso Giudice affermato che il documento era stato tratto dalla “ormai famosa” lista Falciani contenente “un più vasto elenco” di nomi, trovato nella disponibilità del dipendente della banca e non presso l’istituto bancario al quale la scheda si riferiva. Ragion per cui non poteva venire in discussione che il documento provenisse fisicamente dall’istituto di credito, quindi che contenesse informazioni estratte dalle sue banche dati dal dipendente (infedele). Quindi, per gli ermellini, l’attendibilità del documento riceve conforto proprio da quelle circostanze relative all’illiceità della provenienza, che secondo una parte della giurisprudenza di merito ne determinerebbero l’inutilizzabilità.
Conclusivamente, la Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, rinviando la causa per nuovo esame.
FONTE: Fiscal Focus