Dubbi sulla norma niente sanzioni soltanto se la richiesta è tempestiva.
Ai fini della disapplicazione, da parte del giudice, delle sanzioni per violazioni dovute a incertezza normativa, il contribuente non può limitarsi a enunciarne la richiesta nelle conclusioni del ricorso, dovendo, tale eccezione, rappresentare uno specifico motivo di impugnazione, da sollevare nei modi e nei termini processuali appropriati.
È questo il principio enunciato dai giudici di legittimità con la sentenza 15294 del 21 luglio 2015, avallata da altre pronunce della Corte suprema (cfr Cassazione, sentenze 12768/2015, 24060/2014 e 25676/2008).
La controversia ha avuto origine dalla rettifica di una sopravvenienza passiva operata dall’Amministrazione finanziaria nei confronti di una società a seguito della mancata vendita di un’imbarcazione della quale l’ufficio aveva disconosciuto l’inerenza.
Il giudice di primo grado accoglieva il ricorso della parte privata, mentre la Ctr, in parziale accoglimento dell’appello dell’ufficio, dichiarava la legittimità dell’avviso di accertamento in merito alla ripresa a tassazione della somma contabilizzata quale sopravvenienza passiva da mancata cessione.
Ricorreva per cassazione la società, evidenziando, tra l’altro, come la sentenza di secondo grado non si fosse pronunciata sulla propria richiesta di non applicazione – o di riduzione – delle sanzioni per obiettive condizioni di incertezza della norma; tale richiesta, ancorché non avesse rappresentato uno specifico motivo di doglianza nel ricorso introduttivo, sarebbe stata comunque formulata nelle conclusioni dell’atto e pertanto, ad avviso della parte, il giudice di secondo grado avrebbe dovuto esaminarla.
La Corte di cassazione ha ritenuto infondata l’eccezione de qua e, nel rigettare il ricorso, ha condannato, altresì, la società alla rifusione delle spese del giudizio.
In tema di non applicazione delle sanzioni nei casi di obiettive condizioni di incertezza, la disciplina normativa prevede:
- all’articolo 8 del Dlgs 546/1992, che la Commissione tributaria dichiara non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie laddove la violazione sia giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce
- all’articolo 10 dello Statuto del contribuente (legge 212/2000), che non vengono irrogate sanzioni qualora la violazione dipenda da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’applicabilità della norma e, in ogni caso, che la pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria non costituisce un’obiettiva condizione di incertezza
- all’articolo 6, comma 2, del Dlgs 472/1997, che non è punibile l’autore della violazione, se questa è determinata da obiettive condizioni di incertezza su portata e ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono.
Nella pronuncia in esame, la Corte di cassazione ha riconosciuto che la disapplicazione, da parte del giudice, delle sanzioni per violazioni di norme tributarie nel caso in cui accerti una situazione di obiettiva incertezza nell’interpretazione normativa, è possibile anche in sede di legittimità, non dovendo necessariamente la vicenda limitarsi al giudizio di merito.
Tuttavia, la Corte ha sottolineato come tale disapplicazione presupponga un’idonea richiesta in tal senso da parte del contribuente, da effettuarsi nei modi e nei termini processuali appropriati, cioè secondo i principi generali che regolano il processo tributario e, dunque, sin dal ricorso introduttivo del giudizio. Da qui l’infondatezza dell’eccezione sollevata dalla ricorrente in quanto non proposta secondo le modalità processuali prescritte.
La sentenza chiarisce, in particolare, il corretto iter cui attenersi ai fini della proposizione al giudice dell’istanza disapplicativa delle sanzioni per incertezza normativa: in buona sostanza, il contribuente non può limitarsi a enunciare tale richiesta nella conclusione dell’atto di ricorso, dovendo la medesima istanza rappresentare uno specifico motivo dell’impugnazione.
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, è onere del contribuente dimostrare l’incertezza della norma ai fini della non applicabilità delle sanzioni tributarie, nonché allegare l’eventuale sussistenza delle “obiettive condizioni di incertezza“.
Il giudice tributario non può, d’ufficio, dichiarare inapplicabili le sanzioni non penali in assenza di un’espressa richiesta in tal senso avanzata dal ricorrente (cfr Cassazione, pronunce 12768/2015, 24060/2014, 4031/2012, 12422/2011, 5830/2011, 15449/2010, 25676/2008, 14776/2003, 6251/2003 e 4053/2001).
Del resto, come evidenziato dai giudici di legittimità, si è in presenza di obiettive condizioni di incertezza qualora la disciplina normativa sia articolata in una pluralità di prescrizioni il cui coordinamento risulti difficoltoso e confuso (Cassazione, pronunce 7502/2009, 22890/2006); la dimostrazione di tale complicato coordinamento grava solo sul contribuente escludendosi la possibilità che i giudici tributari di merito possano decidere d’ufficio sulla debenza o meno delle sanzioni.
Come anticipato, i giudici di legittimità, con la sentenza in esame, rigettando il ricorso della società, hanno dunque ribadito (cfr Cassazione, sentenze 12768/2015, 24060/2014, 25676/2008) che, ai fini della disapplicazione da parte del giudice delle sanzioni per violazioni dovute a dubbi normativi, il contribuente non può limitarsi a enunciare la richiesta della predetta disapplicazione nella conclusione del ricorso, costituendo, tale eccezione, uno specifico motivo di impugnazione, da sollevare nei modi e nei termini processuali appropriati.
Va, quindi, in conclusione, confermato il principio secondo il quale la disapplicazione, da parte del giudice, delle sanzioni per violazioni di norme tributarie (ai sensi dell’articolo 8 del Dlgs 546/1992, dell’articolo 10 della legge 212/2000 e dell’articolo 6, comma 2, del Dlgs 472/1997), qualora accerti che le stesse sono state commesse in presenza e in connessione con una situazione di oggettiva incertezza nell’interpretazione normativa, è possibile – anche in sede di legittimità – solo se domandata dal contribuente secondo le prescritte modalità processuali, ossia sin dal ricorso introduttivo del giudizio mediante uno specifico motivo di impugnazione.
Fonte: FiscoOggi