Il Fisco spinge la voluntary bis.
Inviti delle Entrate a chi ha percepito interessi all’estero nel 2013 non indicati in RW.
Il Fisco prova a spingere la voluntary-bis facendo leva su chi non ha ancora sanato (in tutto o in parte) le mancate dichiarazioni di patrimoni detenuti all’estero. Dopo la partenza della campagna sulle residenze fittizie (si veda «Il Sole 24 Ore» del 4 marzo), è l’ora dei controlli sui contribuenti italiani che hanno percepito interessi nel 2013 in Stati esteri e non sono stati dichiarati e sui connazionali che risultano intestatari di conti in Paesi a fiscalità privilegiata, anche se scudati o già oggetto di voluntary.
Sono, infatti, questi i due filoni principali che sembrano caratterizzare una serie di controlli scattati in quest’ultimo periodo da parte delle Entrate e della Guardia di Finanza.
Gli interessi non dichiarati
Gli inviti a presentarsi negli uffici dell’agenzia delle Entrate evidenziano che dalle informazioni pervenute all’ufficio da parte degli Stati esteri (in molti casi si tratta della Germania) emerge che il contribuente interessato – in qualità di beneficiario effettivo – ha intrattenuto rapporti con operatori finanziari esteri attraverso i quali sarebbero anche stati percepiti nel corso dell’anno 2013 redditi di capitale non dichiarati in Italia. Inoltre, dall’esame delle dichiarazioni presentate dall’interessato, emergerebbe l’omessa compilazione del quadro RW pur in presenza di tali informazioni dalle quali è possibile desumere il possesso diretto o indiretto, anche in cointestazione, in qualità di beneficiario effettivo, di attività finanziarie e/o patrimoniali all’estero.
Per tali ragioni, al fine di verificare il corretto adempimento degli obblighi dichiarativi sia in materia di tassazione dei redditi di capitale percepiti nel 2013 sia in materia di corretto adempimento agli obblighi posti in materia di monitoraggio fiscale, il contribuente viene invitato negli uffici dell’agenzia delle Entrate per fornire ogni utile informazione e idonea documentazione atta a verificare: natura, qualità e quantità delle attività finanziarie detenute all’estero; tempi e modalità di costituzione delle suddette attività finanziarie; quantificazione dei redditi percepiti e delle eventuali imposte assolte all’estero; sintetica relazione tesa a illustrare i motivi che hanno condotto all’omessa dichiarazione dei redditi di capitale di fonte estera percepiti nonché il mancato adempimento agli obblighi di monitoraggio fiscale.
Posizioni bancarie all’estero
Alcuni reparti della Guardia di Finanza stanno accendendo i fari sui titolari di conti correnti in Paesi black list invitando contribuenti per fornire notizie, informazioni e documenti sulle attività finanziarie detenute direttamente o indirettamente all’estero. In particolare viene richiesta, per ciascuna delle posizioni detenuta anche se attualmente estinte, copia della relativa documentazione bancaria con la specificazione dei soggetti delegati ad operare, cointestatari o aventi causa a qualsiasi titolo.
Nella missiva poi viene chiesto anche di precisare se sia stata presentata una dichiarazione per il rimpatrio o di regolarizzazione di attività finanziarie e patrimoniali detenute fuori dal territorio dello Stato (scudo fiscale) con relativa documentazione corredata dalla ricevuta di effettivo pagamento dell’imposta sostitutiva straordinaria, nonché di specificare se è stata presentata istanza di adesione alla procedura di collaborazione volontaria producendo la relativa documentazione (compresa la relazione accompagnatoria del professionista che ha istruito la procedura).
Infine, le Fiamme gialle richiedono l’esibizione della documentazione fiscale nazionale relativa a ciascuna delle annualità di detenzione delle disponibilità estere: dichiarazioni dei redditi trasmesse, modelli Cud o «Cu» documentazione inerente redditi o proventi a qualsiasi titolo percepiti, altre certificazioni eventualmente possedute attestanti la liquidazione e il pagamento delle imposte dovute per tali annualità. Ma quest’ultima documentazione è già in possesso della Guardia di Finanza attraverso l’Anagrafe tributaria, per cui la richiesta potrebbe anche non essere formulata.
In ogni caso appare evidente che ormai attraverso lo scambio di informazioni con le amministrazioni estere, negli anni sempre più intensificato, eventuali omesse dichiarazioni di disponibilità estere sono agevolmente individuabili con conseguenti pesanti sanzioni (che in determinate circostanze possono anche essere di tipo penale), per cui forse potrebbe essere opportuno valutare l’adesione alla voluntary disclosure-bis quanto meno per ridurre in modo deciso le citate sanzioni ed evitare conseguenze penali.
Fonte Il Sole24Ore
Studio Giuliano e Di Gravio