Tribunale Milano, Sezione 5 civile, Sentenza 25 febbraio 2014, n. 2741
Fonte : 101professionisti.it
SENTENZA INTEGRALE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI MILANO
QUINTA SEZIONE.
Il Tribunale, nella persona del giudice unico Dott. Maria Elena Catalano
ha pronunciato la seguente
SENTENZA ex art. 281 sexies c.p.c.
nella causa civile di I Grado iscritta al N. 88033/2008 R.G. promossa da:
ATTORE
Tra
LA.AN. C.F.: (…), elettivamente domiciliata in Milano, in Via (…), presso e nello studio dell’Avv. Al.Mo., del Foro di Milano, che la rappresenta e difende per delega in atti
ATTRICE
Contro
DR. PA.MA. C.F.: (…), elettivamente domiciliato in Milano, Via (…), presso e nello studio dell’Avv. Lu.Pe., del Foro di Milano, che lo rappresenta e difende per delega in atti
CONVENUTO
nonché contro
CASA DI CURA IG. s.p.a. (C.F: 02031760156), elettivamente domiciliata in Milano, Via Fontana n. 17, presso e nello studio dell’Avv. Paolo Rossi, del Foro di Milano, che la rappresenta ed assiste per delega in atti
CONVENUTA
Nonché contro
CO.IT.PR.AS.RI. s.p.a. (IT.AS.) C.F.: (…), in persona del proprio legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Milano, Via (…), presso e nello studio degli Avv.ti Ca.Da. e Ca.Br., del Foro di Milano, che la rappresentano ed assistono per delega in atti
TERZA CHIAMATA
Nonché contro.
DU.UN.ON.AS. s.p.a.
SO.CA. DI AS.
CI. S.P.A. CO.IT.RI.AZ.
In persona del proprio legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Milano, (…), presso e nello studio dell’Avv. Gi.Lo., del Foro di Milano, che le rappresenta ed assiste in forza di delega in atti
TERZA CHIAMATA
MOTIVI DELLA DECISIONE ex art. 281 sexies c.p.c.
Con atto di citazione del 10.12.2008, ritualmente notificato, l’attrice conveniva in giudizio il Dottor Ma.Pa. e la Casa di Cura Ig., per sentirli condannare, in via tra loro solidale, previo accertamento delle rispettive responsabilità per gravissima negligenza, imprudenza ed imperizia, all’integrale risarcimento dei danni dalla stessa patiti a seguito dell’intervento chirurgico effettuato dal professionista Dottor Pa. in data 21.03.2003 presso la clinica in intestazione.
Più precisamente, esponeva l’attrice che, nel maggio 1994, si era sottoposta ad un intervento. chirurgico correttivo di valgismo bilaterale dell’alluce, manifestatosi sin dall’adolescenza; e che a distanza di pochi anni dall’intervento, essendosi ripresentata una sindrome dolorosa a livello della metatarsi falangea, effettuava ulteriori accertamenti diagnostici, che evidenziavano la necessità di approfondimenti del quadro clinico in essere.
Pertanto, in data 30.01.2003, la Sig.ra La. si sottoponeva a visita medica presso il Dott. Ma.Pa., specialista in microchirurgia, che suggeriva quale terapia risolutiva un intervento chirurgico di revisione.
In data 21.03.2003, veniva ricoverata presso la Casa di Cura Ig. per essere sottoposta ad intervento chirurgico di correzione della problematica lamentata; qualche giorno dopo, tuttavia, iniziava ad avvertire una sintomatologia dolorosa durante la deambulazione e, pertanto, si sottoponeva a nuova visita presso il Dottor Pa., nel corso della quale le venivano suggerite delle terapie fisioterapiche.
Seguivano nel tempo ulteriori accertamenti anche presso altri specialisti. In particolare, in data 11.10.2004, a cagione del persistere della sintomatologia dolorosa, l’attrice consultava il Dott. Ma., specialista in ortopedia, che riferiva che “nessun intervento era in grado di ricreare una condizione di funzione come quella richiesta dalla paziente”.
In data 25.08.2005, l’attrice si sottoponeva a visita medico legale presso il Prof. Os.Mo., il quale diagnosticava un danno di natura iatrogena, riconducibile al secondo intervento effettuato dal Dottor Pa. Lo specialista di parte attrice affermava infatti, testualmente, che si tratta di un insuccesso terapeutico di un secondo intervento effettuato per metatarsalgia destra complessa in alluce valgo recidivato. Si è trattato in effetti di un intervento correttivo complesso sulla cui indicazione vi è da nutrire dubbi, e, atteso il risultato ottenuto, si prospetta anche una progettazione errata, sulla base di accertamenti strumentali insufficienti ed anche senza avvisare la paziente delle concrete possibilità di un insuccesso di un intervento che, proprio in funzione della complessità delle alterazioni responsabili della metatarsalgia, doveva essere meglio valutato, sia per quanto riguarda la tecnica prescelta, sia in ordine all’opportunità o meno di procrastinarlo nel tempo. Il quadro anatomo funzionale di attuale riscontro, inoltre, rende assai problematica la possibilità di porvi rimedio mediante altro intervento chirurgico”.
L’attrice dava altresì atto di aver ricevuto a titolo di acconto da parte della compagnia assicuratrice del Dottor Pa., IT.AS., l’importo di Euro 1.807,00 per il danno da inabilità temporanea.
Sulla base delle prospettazioni allegate e dedotte dal consulente tecnico di parte, dunque, LA.AN., ritenendo la responsabilità in solido del Dottor Pa. e della Casa di Cura Ig., conveniva in giudizio il medico e la struttura sanitaria, richiedendo il risarcimento dei danni tutti patiti (nella specie, biologici, morali, esistenziali), quantificati in Euro 39.195,84, o nella diversa misura accertanda in corso di causa, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal giorno 30.01.2003 sino all’effettivo soddisfo.
Si costituivano in giudizio, con rispettive comparse di costituzione e risposta, il Dott. Ma.Pa. e la Casa di Cura Ig., che contestavano la prospettazione dei fatti come offerta dall’attrice, e concludevano per il rigetto della domanda nel merito.
In particolare, il Dott. Pa. deduceva che la Sig.ra La. si era rivolta a lui il 30.01.2003, pur in presenza di un quadro clinico già gravemente compromesso dalla pregressa malattia e dal precedente intervento chirurgico (eseguito in precedenza dal Prof. Ma. con una desueta tecnica, non certamente adatta ad una donna di giovane età) – quadro a lei stessa noto – e che, nella circostanza, aveva consigliato alla paziente un “intervento chirurgico finalizzato unicamente alla revisione di quello precedentemente eseguito ed avente l’unico obiettivo possibile, come ampiamente ed esaustivamente spiegato alla Sig.ra La., di tentare di migliorare una situazione clinica già ampiamente degenerata“ (pag. 4 della comparsa di costituzione e risposta).
Allegava il convenuto che alla luce della diagnosi del professionista, l’attrice, previamente informata anche delle possibili complicanze dell’intervento da affrontare, come dimostrato dal modulo di consenso informativo e da quello del consenso ad atto chirurgico (cfr. doc. 1 fascicolo convenuto e doc. 4 fasc. attrice), decideva volontariamente di sottoporsi all’intervento. In occasione dei successivi controlli effettuati qualche giorno dopo l’operazione, ed in particolare in quello tenutosi in data 10.04.2003, lo specialista prescriveva adeguato ciclo fisioterapico – riabilitativo, che tuttavia la Sig.ra La. non eseguiva; simile prescrizione veniva indicata anche successivamente, allorché, in data 13.05.2003, il medico suggeriva nuovamente un ciclo di fisio-kinesi terapia, che anche questa volta non veniva effettuato. La successiva visita dell’11.12.2003 dava esito positivo, giacché la Sig.ra La. risultava avere una ottima mobilità della metatarsi, e presentava quindi condizioni migliori rispetto a quelle precedenti all’intervento.
Sulla base di quanto dedotto, dunque, il convenuto Pa. escludeva la propria responsabilità professionale in relazione ai danni lamentati da parte attrice dopo l’esecuzione dell’intervento di revisione, escludendo pertanto sia il nesso di causalità sia eventuali profili di colpa professionale, considerato oltretutto che la Sig.ra La. era stata previamente informata degli eventuali rischi e delle complicanze dell’intervento di revisione (fra cui rientrava anche la “incompleta risoluzione o recidiva della patologia con possibilità di ulteriori interventi”) ed aveva consapevolmente sottoscritto la relativa informativa.
In ogni caso, chiedeva disporsi differimento dell’udienza già fissata per la comparizione delle parti ex art. 269, II comma, c.p.c., con autorizzazione alla chiamata in causa ai sensi dell’art. 106 c.p.c. della IT.AS. s.p.a., che lo assicurava con polizza n. (…) per la responsabilità civile verso terzi.
Con proprio decreto del 28.04.2009, il Giudice autorizzava la chiamata in causa della predetta compagnia assicuratrice, fissando per la comparizione delle parti l’udienza del 7.10.2009.
L’ulteriore convenuta Casa di Cura Ig., da parte sua, deduceva che nessuna colpa poteva ascriversi alla struttura sanitaria, sia perché l’attrice aveva richiesto alla clinica solo ed esclusivamente la disponibilità temporale della sala operatoria ed un letto di degenza, sia e soprattutto perché la stessa si era rivolta allo studio professionale del Dottor Pa. per il decorso pre-operatorio nonché per il programma post-operatorio; pertanto, non essendovi mai stato alcun contatto diretto tra la Sig.ra La. e la Casa di Cura Ig., quest’ultima non poteva essere ritenuta responsabile del pregiudizio lamentato. Eccepiva, dunque, la propria carenza di legittimazione passiva nonché il nesso di causalità, atteso il fatto che il “rapporto contrattuale” aveva riguardato prestazioni di mezzi e servizi che erano stati regolarmente forniti e che non avevano causato danni e, soprattutto, che la Casa di Cura doveva ritenersi estranea al rapporto tra il Professionista e la Paziente.
Concludeva, pertanto, chiedendo il rigetto della domanda svolta dall’attrice nei suoi confronti, svolgendo in ogni caso istanza di chiamata in garanzia ai sensi dell’art. 269 c.p.c. della Compagnia di Assicurazione della Casa di Cura Ig. s.p.a. per la R.C., la Du.As. e Ri. s.p.a., e le coassicuratrici Ca.As. e Ca.Az., con cui la clinica aveva all’epoca del sinistro una polizza anche per la responsabilità personale dei medici liberi professionisti. La chiamata in causa veniva autorizzata con successivo decreto del 12.05.2009, con differimento dell’udienza di comparizione parti alla data del 3.11.2009.
Si costituivano in giudizio le terze chiamate IT.AS. s.p.a. e Du.Un.As. s.p.a., che contestavano le pretese dell’attrice, chiedendone il rigetto, sulla base delle stesse motivazioni dedotte dalle proprie assicurate.
Nel corso della prima udienza tenutasi in data 3.11.2009, il Giudice assegnava alle Parti i termini di cui all’art. 183, VI comma, c.p.c., rinviando per trattazione a successiva udienza, e disponeva consulenza tecnica d’ufficio sulla persona della Sig.ra LA.AN., al fine di valutare il nesso di causalità tra i danni lamentati dall’attrice e la tipologia dell’intervento effettuato dal Dottor Pa.
Alle successive udienze, espletata la CTU medico-legale, che, rispondendo al quesito giudiziale, escludeva ogni tipo di responsabilità in capo al convenuto Pa., parte attrice insisteva per la richiesta di chiarimenti al consulente tecnico d’ufficio. Il Giudice concedeva dunque al CTU nominato, Dott. Fa.Do., termine di 30 giorni per il deposito di chiarimenti e rinviava alle udienze successive per la decisione sulle eventuali ulteriori istanze istruttorie.
In particolare, a fronte della produzione del documento relativo al modulo di consenso informativo prodotto dalla difesa dei convenuti e dalla stessa parte attrice e della mancata allegazione in citazione di un vizio del consenso prestato, sottoscritto dall’attrice prima di sottoporsi all’intervento, venivano rigettate le richieste della Sig.ra La. di ammissione dei capitoli di prova finalizzati a dimostrare che il consenso era viziato (in quanto prestato solo nella sala operatoria e non anche prima).
Ritenuta quindi la causa matura per la decisione, i procuratori delle parti discutevano la causa ex art. 281 sexies c.p.c. all’udienza odierna.
Così riassunte le risultanze processuali, ritiene questo Giudice che la domanda svolta dalla Sig.ra LA.AN. sia infondata e, debba, pertanto, essere respinta.
Preliminarmente, occorre premettere che, nell’ambito della responsabilità professionale medica, ed in particolare sotto il profilo dell’onere della prova, le Sezioni Unite della Cassazione (con sentenza n. 577/2008), hanno statuito che: “in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio, l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare il contratto (o il contatto sociale) e l’aggravamento della patologia o l’insorgenza di un’affezione ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato.
Competerà al debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante”.
L’impostazione di cui sopra è stata confermata dalle successive sentenze della Suprema Corte a Sezioni Semplici (es. la n. 12274/2011, la n. 1538/2010 e la n. 20101/2009). Con sentenza molto recente, la n. 15993 del 21 luglio 2011, la Suprema Corte ha richiamato nuovamente la sentenza n. 577/2008, precisando che: “lo sforzo probatorio dell’attore può non spingersi oltre la deduzione di qualificate inadempienze in tesi idonee a porsi come causa o concausa del danno, restando poi a carico del convenuto l’onere di dimostrare o che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia può essergli mosso, o che, pur essendovi stato un suo inesatto adempimento, questo non ha avuto alcuna incidenza causale sulla produzione del danno”.
Nel caso di specie, l’onere probatorio spettante al convenuto è stato ampiamente assolto mediante la consulenza tecnica d’ufficio, che ha escluso ogni profilo di responsabilità.
Infatti, la consulenza tecnica d’ufficio espletata dal Dott. Fa.Do. ha stabilito che “non si ravvisano profili di responsabilità professionale tra la patologia lamentata e la condotta terapeutica, né risulta esservi nesso causale e concausale diretto o indiretto fra la condotta terapeutica e la patologia lamentata”, così escludendo in radice la colpa per negligenza, imprudenza ed imperizia del sanitario e la sua incidenza causale sulla patologia lamentata dall’attrice.
Costituisce principio noto quello secondo cui la CTU, nelle scienze cc.dd. tecniche, operando quale strumento di accertamento di fatti non altrimenti acclarabili se non con il ricorso a determinate cognizioni specialistiche (c.d. CTU percipiente) e non già di valutazione di fatti già acclarati (c.d. CTU deducente) assurge a vera e propria fonte oggettiva di prova e non già a mero mezzo di valutazione.
Questo Giudicante ritiene di dover condividere le argomentazioni e le conclusioni cui è pervenuto il CTU, che ha risposto in maniera completa ed esaustiva al quesito specifico sottopostogli.
Nello specifico, la consulenza tecnica d’ufficio ha, infatti, evidenziato che il planning pre-operatorio fu corretto; che, nelle ipotesi di intervento di alluce valgo, un risultato definitivamente risolutivo non è facilmente ottenibile, come dimostra la grande varietà di tecniche proposte; che l’attrice fu previamente informata del quadro clinico e delle possibili complicanze; che l’intervento propostole dal Dottor Pa. era indicato e che la tecnica chirurgica eseguita era da considerarsi corretta ed infine che il quadro attuale è da imputarsi ad una evoluzione sfavorevole dovuta a degenerazione artrosica della metatarso falangea, determinata da situazione di danno cartilagineo al primo intervento (pag. 7 della relazione del Dottor Fa.Do.).
Al riguardo, nessuna valenza può essere attribuita ai rilievi, pur precisi e circostanziati, che il consulente di parte attrice ha mosso agli argomenti ed alle conclusioni del consulente d’ufficio con propria nota del 13.11.2011. Infatti, il Prof. Mo. (medico-legale) assume che il risultato dell’intervento effettuato dal Dottor Pa. sia stato fallimentare, in quanto il convenuto avrebbe effettuato una operazione che, ben lungi dall’attenuare la sintomatologia, l’avrebbe accentuata, “favorendo uno scompenso funzionale per un atteggiamento in iperestensione forzata dell’alluce, che non era presente prima del suddetto intervento e che condiziona aggravamento dell’insufficienza del primo raggio e un anomalo con ipercheratosi a livello del 2° e del 3° raggio; anomalo appoggio che condiziona una cronica sintomatologia dolorosa nella fase del passo”.
Correttamente, sul punto, il CTU Dott. Do. – specialista in ortopedia – ha evidenziato che lo scompenso funzionale descritto dal Prof. Mo. derivava da un danno artrosico, già presente fin dal primo intervento eseguito nell’anno 1994, e dunque non causato dall’operato del Dott. Pa.; in particolare, “la metatarsalgia dolorosa che rappresenta il difetto di risultato dell’intervento è imputabile a evoluzione sfavorevole, dovuta a degenerazione artrosica della metatarso-falangea, determinata da situazione di danno articolare del primo intervento, di cui il medico non può essere ritenuto responsabile”.
Inoltre, che le argomentazioni del Prof. Mo. siano, nella fattispecie in esame, smentite dalla documentazione in atti lo si evince dal fatto che lo stesso afferma che la paziente non fu avvisata delle concrete possibilità di un insuccesso dell’intervento; insuccesso che si poteva invece prevedere proprio in funzione delle alterazioni responsabili della metatarsalgia. L’informativa relativa al consenso specifico prodotta in atti (sub doc. 4 fascicolo convenuto e sub. doc. 1 fasc. attrice) attesta, invece, che prima di sottoporsi all’intervento, l’attrice, che già aveva subito in precedenza un intervento non risolutivo della problematica lamentata, era stata resa specificamente edotta delle possibili complicanze dell’operazione e vi aveva volontariamente acconsentito.
Con riferimento all’asserito vizio del consenso ed alla parzialità dell’informativa dedotta dall’attrice, in quanto, secondo la prospettazione difensiva, il consenso venne richiesto alla Sig.ra La. poco prima dell’operazione, ovvero quando la paziente non era nelle condizioni migliori per poter prendere una consapevole decisione, rileva questo Giudicante quanto segue.
In primo luogo, dalla documentazione in atti, emerge che il consenso prestato dall’attrice è dotato dei requisiti della personalità e della consapevolezza, in quanto si riferisce al tipo di intervento concretamente eseguito dal Dottor Pa. (c.d. rischio specifico). In ogni caso, nessun disconoscimento di sottoscrizione del documento è stato effettuato da parte attrice.
Inammissibile, pertanto, deve ritenersi la richiesta della Sig.ra La. finalizzata a voler provare per testi un contenuto diverso rispetto a quello emergente dalla prova documentale dalla stessa prodotta, senza aver allegato in citazione alcun vizio del consenso prestato.
E’ infatti noto che il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, impone che quest’ultimo fornisca al paziente, in modo completo ed esaustivo, tutte le informazioni scientificamente possibili riguardanti le terapie che intende praticare o l’intervento chirurgico che intende eseguire, con le relative modalità ed eventuali conseguenze, sia pure infrequenti, col solo limite dei rischi imprevedibili, ovvero degli esiti anomali, al limite del fortuito, che non assumono rilievo secondo l’”id quod plerumque accidit”, in quanto, una volta realizzatisi, verrebbero comunque ad interrompere il necessario nesso di casualità tra l’intervento e l’evento lesivo: ipotesi che si è ampiamente verificata nel caso che ci occupa.
Alla luce di queste osservazioni, pertanto, nessuna responsabilità può essere ascritta in capo al convenuto Ma.Pa., il quale si comportò secondo i migliori canoni dettati dalla prudenza e dal rispetto dei protocolli di settore, né, tantomeno, alla Casa di Cura Ig., la cui responsabilità nasce da “contatto sociale”.
Ritiene questo Giudicante, in considerazione della complessità delle questioni giuridiche trattate, nonché della tipologia di intervento, giacché, come è stato dedotto, nell’ambito delle operazioni di valgismo diverse sono le soluzioni che la scienza medica adotta, di dover compensare tra la Sig.ra LA.AN. ed i convenuti Ma.Pa. e Casa di Cura Ig. il 50% delle spese di lite, ponendo invece a carico dell’attrice soccombente il restante 50%.
Soccorrono inoltre giusti motivi per compensare interamente le spese di giudizio tra i convenuti Ma.Pa. e Casa di Cura Ig. e le rispettive compagnie assicuratrici, IT.AS. s.p.a. e Du.As. s.p.a., in virtù delle previsioni di polizza, che prevedono l’operatività della copertura assicurativa in ipotesi di questo tipo.
Le spese della consulenza tecnica d’ufficio vengono poste definitivamente a carico della Sig.ra LA.AN., parte soccombente nel presente giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale di Milano, in funzione di Giudice Unico, ogni diversa deduzione, eccezione e domanda disattesa, così provvede:
1) Rigetta le domande formulate dall’attrice LA.AN. nei confronti dei convenuti Ma.Pa. e Casa di Cura Ig., per i motivi di cui alla parte motiva della presente sentenza;
2) Condanna l’attrice a rifondere ai convenuti Ma.Pa. e Casa di Cura Ig. il 50% delle spese di giudizio, che si liquidano (nella misura percentuale posta a carico di parte attrice) in Euro 2.250,00, oltre accessori, per ciascun convenuto, per competenze professionali secondo i parametri del D.M. 140/2012, compensandole interamente per il restante 50%;
3) Compensa integralmente tra Ma.Pa. e Casa di Cura Ig. e le rispettive terze chiamate (IT.AS. s.p.a. e Du.As. s.p.a.) le spese di lite;
4) Pone definitivamente a carico dell’attrice LA.AN. le spese di CTU, come liquidate con separato decreto.
Sentenza resa ex Articolo 281 sexies cpc, pubblicata mediante lettura alle parti presenti ed allegazione al verbale, per l’immediato deposito in cancelleria.
Così deciso in Milano in data 25 febbraio 2014.
Depositata in Cancelleria il 25 febbraio 2014.