Non è tutto fumus senza arrosto: il regalo cela un’evasione fiscale.
La donazione a un figlio dei propri beni immobili, quando questi non ne ha la necessità, è idonea a configurare il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.
Ricorre il fumus del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte quando un professionista decide di donare tutto il suo patrimonio immobiliare al figlio il quale, però, non ha necessità degli immobili ricevuti, essendo già proprietario di un appartamento.
Inutile, altresì, giustificare l’atto di liberalità con lo scopo di acquistare un altro immobile con Iva agevolata al 4% anziché al 12%, se tale intenzione non si è tradotta in un atto definitivo, a distanza di molto tempo dal preliminare (nella specie, ben tre anni).
È quanto affermato dalla Corte suprema, con la Sent. Cass. pen. n. 39832-2015.
La vicenda processuale.
L’imputato impugnava in Cassazione l’ordinanza del tribunale del riesame che, in sede d’appello cautelare, aveva confermato l’ordinanza di rigetto della richiesta di revoca di sequestro preventivo disposto per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (articolo 11 del Dlgs 74/2000), con riguardo al ritenuto carattere simulato e fraudolento dell’atto di donazione di immobili effettuato a favore del proprio figlio.
In particolare, nel ricorso, si lamentava la violazione dell’articolo 11 del Dlgs 74/2000 e dell’articolo 43 del codice penale, ribadendo l’assunto di aver effettuato la donazione degli immobili al figlio per poter acquistare un altro immobile con l’aliquota del 4% anziché quella del 12%.
Si evidenziava, altresì, il difetto di motivazione del provvedimento di rigetto dell’istanza di dissequestro avanzata.
La pronuncia della Cassazione.
I giudici di legittimità, investiti della questione, hanno ritenuto che l’ordinanza gravata che ha rigettato l’istanza di revoca del provvedimento di sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, ha ben motivato circa la sussistenza dei presupposti cautelari.
“L’ordinanza impugnata, invero, ha diffusamente chiarito, con motivazione per nulla apparente, le ragioni per le quali la donazione degli immobili, presenti, sotto il profilo del fumus commissi delicti, di per sé sufficiente a sorreggere la legittimità del provvedimento cautelare disposto, carattere fraudolento e/o simulato”.
Osservazioni.
I presupposti legittimanti la misura cautelare del sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente di cui all’articolo 321, comma 1, cpp, sono oltre al periculum in mora anche il fumus commissi delicti.
Pertanto, il giudice del riesame, secondo orientamento consolidato in sede di legittimità (cfr a titolo esemplificativo, Cassazione penale 11895/2014), non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma, valutando il fumus, deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, pur non occorrendo la sussistenza d’indizi di colpevolezza o la loro gravità, ma solo elementi concreti conferenti nel senso della sussistenza del reato ipotizzato.
Nel caso di specie, pertanto, a giudizio della Corte suprema, il giudice di merito ha ben motivato la sussistenza dei presupposti cautelari.
In particolare, sotto il profilo del fumus commissi delicti, il tribunale adito ha potuto ricavare il carattere fraudolento e/o simulato delle cessioni a titolo gratuito oggetto di controversia da numerosi elementi, quali: la natura gratuita del negozio; la circostanza che l’imputato si sia di fatto, con tale atto, spogliato dell’intero suo patrimonio immobiliare, atteso che i due beni residuati sarebbero di valore commerciale pressoché nullo; la circostanza che il donatario non avesse necessità degli immobili ricevuti, essendo egli già in possesso di appartamento; la circostanza che il donante continuava ad avere il possesso di uno degli immobili oggetto di donazione, esercitando lì, fra l’altro, la propria attività professionale; la circostanza che la donazione si era conclusa appena due mesi prima del deposito della sentenza della Commissione tributaria che aveva confermato in larga misura gli esiti dell’accertamento tributario di debiti d’imposta.
L’ordinanza impugnata, invero, ha altresì evidenziato la non rilevanza, allo stato, delle ragioni addotte dal ricorrente, nel senso della natura effettiva dell’atto posto in essere e ricollegate alla necessità, più volte ricordata in ricorso, di usufruire di una imposizione Iva agevolata al 4% per l’acquisto di altro immobile (ciò che non sarebbe stato possibile se non cedendo gli altri beni), chiarendo come tale assunto risulti contrastato dal fatto che detto acquisto non si fosse ancora tradotto in un atto definitivo a distanza di ben tre anni dal preliminare.
Analogamente, i giudici di merito hanno considerato le ulteriori argomentazioni dei ricorrenti, volte ad assumere l’inesistenza dei debiti tributari posti a monte, anche in forza di nullità che investirebbero i relativi atti di accertamento, valutando correttamente (anche alla luce della natura di reato di pericolo dell’addebito ex articolo 11, più volte citato, puntualizzata dalla Corte: cfr da ultimo, Cassazione, 36290/2011) la non necessità, ai fini della configurabilità del fumus, di un accertamento definitivo o di una compiuta attività di verifica.
Ne è derivata la legittimità del provvedimento di sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, disposto a carico di un professionista indagato per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, atteso il carattere fraudolento e simulatorio della liberalità posta in essere.
Fonte: Fiscooggi.