Novità sui delitti contro la pubblica amministrazione e sul reato di falso in bilancio.
E’ stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 30 maggio 2015, n. 124, la Legge n. 69 del 27 maggio 2015, in materia di delitti contro la pubblica amministrazione e di associazione di stampo mafioso, unitamente alla riformulazione del reato di falso in bilancio.
Delitti contro la Pubblica Amministrazione.
Con tale provvedimento si procede, anzitutto, a un aumento delle pene dei seguenti reati:
• peculato (art. 314 c.p.), che, all’esito della modifica, prevede ora una pena detentiva che va da un minimo di 4 anni a un massimo di 10 anni e 6 mesi (aumento di 6 mesi rispetto al passato);
• corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.), che prevede ora una pena detentiva fino a un massimo di 6 anni (oggi di 5 anni);
• corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio (art. 319 c.p.), che prevede ora una pena detentiva da un minimo di 6 anni a un massimo di 10 anni (oggi, rispettivamente, di 4 e 8 anni);
• corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter c.p.), che passa da un minimo di 6 anni a un massimo di 12 anni di reclusione (oggi, rispettivamente, di 4 e 10 anni);
• induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater c.p.), che viene aumentato da un minimo di 6 anni a un massimo di 10 anni e 6 mesi di reclusione (oggi, rispettivamente, di 3 e 8 anni).
All’aumento delle pene consegue, automaticamente, anche un aumento del periodo di prescrizione degli stessi delitti interessati dalle modifiche.
Sempre con riguardo alla riforma intervenuta nell’ambito del codice penale, si segnala ancora la reintroduzione della figura dell’incaricato di pubblico servizio come soggetto attivo del reato di concussione, precedentemente espunto dalla legge n. 189/2012; la modifica alla fattispecie della sospensione condizionale della pena (art. 165 c.p.), che, con riguardo alle ipotesi di condanna per i delitti di cui agli artt. 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320 e 322-bis c.p., viene condizionata «al pagamento di una somma equivalente al profitto del reato ovvero all’ammontare di quanto indebitamente percepito dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio» da imputare in favore dell’amministrazione lesa, oppure, nel caso di corruzione in atti giudiziari, da destinare in favore dell’amministrazione giudiziaria, salvo il diritto, in favore dello Stato, di pretendere l’ulteriore eventuale risarcimento del danno; l’aumento di pene intervenuto sul versante del delitto di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.), ora rubricato «associazioni di tipo mafioso, anche straniere».
Sul versante del codice di procedura penale, invece, degna di nota è la modifica introdotta in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. “patteggiamento” – art. 444 c.p.p.). All’esito della riforma è previsto che, nelle ipotesi di delitti di cui agli artt. 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 322-bis c.p., l’ammissibilità della richiesta di pena è subordinata alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato.
Nuovo reato di falso in bilancio.
Con riguardo, poi, all’ambito dei reati societari previsti dal codice civile, vi è l’inserimento dei nuovi artt. 2621 ss., che hanno modificato la disciplina dei reati di false comunicazioni sociali (c.d. “falso in bilancio”).
In primo luogo, è stata modificata la disciplina del falso in bilancio nell’ambito delle società non quotate (art. 2621 c.c.). A tal riguardo, la modifica apportata prevede che: (i) il reato sia sempre punito come delitto (in luogo di quello attuale che prevede anche l’ipotesi di natura contravvenzionale); (ii) la pena inflitta – che va da un minimo di 1 anno a un massimo di 5 anni – sia sempre quella della reclusione (in luogo di quella attuale che prevede anche l’arresto fino a 2 anni); la procedibilità sia sempre d’ufficio (parimenti all’attuale formulazione).
Per quanto attiene, invece, alla condotta illecita sanzionata dalla norma, si segnala che, anche all’esito della riforma in esame, questa rimane sostanzialmente invariata, andando a punire «gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore».
La riforma, inoltre, prevede l’introduzione di ipotesi specifiche da cui far conseguire delle pene ridotte in caso di commissione del reato ex art. 2621 c.c.:
1) se i fatti sono di lieve entità, la pena va da un minimo di 6 mesi a un massimo di 3 anni (nuovo art. 2621-bis c.c.). La lieve entità viene valutata dal giudice in base alla natura e alle dimensioni della società, nonché alle modalità o agli effetti della condotta dolosa;
2) la stessa pena ridotta (da 6 mesi a 3 anni) si applica anche nel caso in cui il falso in bilancio riguardi le società che non possono fallire (quelle che non superano i limiti indicati dall’art. 1, comma 2, legge fallimentare).
In questo caso, il reato è perseguibile a querela di parte (società, soci, creditori o altri destinatari della comunicazione sociale) e non d’ufficio.
Con l’introduzione, poi, del nuovo art. 2621-ter c.c., si prevede un’ipotesi legale di non punibilità per particolare tenuità del fatto (ex art. 131-bis c.p.), dovendo il giudice, a tali fini, valutare, in modo prevalente, «l’entità dell’eventuale danno cagionato alla società, ai soci o ai creditori».
In secondo luogo, è stata modificata la disciplina del falso in bilancio nell’ambito delle società quotate (art. 2622 c.c.). A tal riguardo, la modifica apportata prevede che:
(i) il falso in bilancio diventi reato di pericolo anziché (come ora) di danno;
(ii) la procedibilità sia d’ufficio (anziché a querela);
(iii) la pena della reclusione vada da un minimo di 3 anni a un massimo di 8 anni (oggi, rispettivamente, di 1 e 4 anni).
E’ previsto, inoltre, che alle società quotate siano equiparate:
(a) le società emittenti strumenti finanziari per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea; (b) gli emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione italiano;
(c) le società che controllano società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea;
(d) le società che fanno appello al pubblico risparmio o che comunque lo gestiscono.
Le modifiche al D.Lgs. n. 231/2001.
La legge n. 69/2015 all’esito del modificato impianto dei reati di false comunicazione sociali (artt. 2621 e ss. c.c.), ha predisposto anche un coordinamento con la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato ex d.lgs. n. 231/2001. In particolare, l’intervento normativo ha apportato, un aumento delle sanzioni pecuniarie ivi previste:
1) per il delitto di false comunicazioni sociali (art. 2621 c.c.) la sanzione pecuniaria ora va da 200 a 400 quote;
2) in ipotesi di fatto di lieve entità (art. 2621-bis c.c.) la sanzione pecuniaria ora va da 100 a 200 quote;
3) per il delitto di false comunicazioni sociali ai danni di società quotate (art. 2622 c.c.) la sanzione pecuniaria ora va da 400 a 600 quote.
I nuovi poteri dell’Anac e obblighi informativi.
La legge n. 69/2015 attribuisce all’Autorità nazionale anticorruzione poteri di vigilanza e controllo anche sui contratti pubblici di cui agli articoli 17 e seguenti del codice dei contratti pubblici cioè quelli esclusi n tutto o in parte dall’ambito di applicazione del codice (articolo 8, comma 1).
Inoltre il provvedimento normativo introduce nuovi obblighi informativi verso l’Anac.
In particolare il pubblico ministero quando esercita l’azione penale per i delitti di cui agli articoli 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322, 322-bis, 346-bis, 353 e 353-bis del codice penale ha l’obbligo di informare l’Autorità, dando notizia dell’imputazione (articolo 7). Anche il giudice amministrativo, qualora nel corso di controversie concernenti le procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture, abbia notizia di condotte o atti contrastanti con le regole della trasparenza, è tenuto a trasmettere tali informazioni all’Autorità (articolo 8, comma 3).
Infine un obbligo informativo verso l’Autorità ricade in capo alle stazioni appaltanti, le quali sono tenute a trasmettere all’Anac, con cadenza semestrale, alcune informazioni relative alle procedure di scelta del contraente per l’affidamento di lavori, servizi o forniture (articolo 8, comma 2).
Fonte: ASSONIME