Cassazione Penale, sentenza depositata il 30 settembre 2014
Gli ermellini hanno annullato la condanna inflitta al legale rappresentante di una società cooperativa che non ha versato l’IVA, così incorrendo nel reato di cui all’articolo 10-ter del D.Lgs. n. 74 del 2000.
La difesa. L’imputato ha dedotto l’assenza dell’elemento psicologico del reato, posto che la condotta illecita era stata determinata dal fallimento, nell’immediatezza della data di scadenza del pagamento dell’imposta, del principale committente della cooperativa. Quest’ultima, di conseguenza, non aveva potuto far altro che insinuarsi nel passivo del fallimento e destinare le poche risorse disponibili al pagamento degli stipendi e dei relativi contributi previdenziali, non possedendo beni con i quali eventualmente monetizzare.
In sostanza, quindi, l’evasione contestata non era ascrivibile a una “dissennatezza gestionale” o a un intento “truffaldino o omissivo”, ma solo a una causa di forza maggiore.
Rinvio per nuovo esame. Ebbene, le argomentazioni difensive del legale rappresentante della cooperativa hanno indotto la Suprema Corte ad annullare la sentenza impugnata, con conseguente rimessione della causa al giudice di merito.
Nelle motivazioni della sentenza pubblicata ieri si legge: “per poter ravvisare la causa di giustificazione della forza maggiore è necessario aver acquisito la prova rigorosa che la violazione del precetto penale è dipesa da un evento del tutto estraneo alla sfera di controllo del soggetto agente”. La forza maggiore è dunque“quella causa esterna all’agente che sostituisce la serie causale a lui ascrivibile, innescandone un’altra, diversa e completamente autonoma rispetto alla condotta dell’agente stesso”.
Ebbene, nel caso di specie, il giudice di merito non ha sufficientemente considerato che l’imputato non ha negato l’evasione, ma solo dedotto la sopravvenienza di un evento del tutto esterno alla propria volontà, vale a dire il fallimento, in epoca limitrofa alla scadenza dei termini per il versamento dell’IVA, del principale committente. A fronte di tale circostanza, debitamente documentata, la Corte territoriale avrebbe dovuto sviluppare “argomentazioni più ampie e contenutistiche della mera asserzione della sussistenza del dolo” – si legge in sentenza.
Ad avviso dei giudici del Palazzaccio, infatti, il giudice di merito è tenuto “ad acquisire la prova rigorosa dell’assunto che la violazione del precetto penale sia dipesa da un evento ‘decisivo’ del tutto estraneo alla sfera di controllo del soggetto agente”, mentre nella specie è stato possibile constatare l’assenza di qualsivoglia apprezzamento delle argomentate deduzioni difensive sviluppate nel ricorso per cassazione.