Voluntary disclosure e altro….
Intervista a Orlandi: «Lotta all’evasione a partire dall’Iva. Recuperati oltre 17 miliardi nel 2016»
«Quanto abbiamo incassato nel 2016? Beh, il conteggio non è ancora definitivo ma una cosa la posso dire: qualcuno ci aveva chiesto, per il 2017, di superare nella lotta all’evasione la quota di 17 milardi incassati. Bene, i 17 miliardi li abbiamo superati già nel 2016». È un fiume in piena, Rossella Orlandi, da trenta mesi alla guida dell’agenzia delle Entrate, mentre racconta i risultati, le fatiche e le responsabilità che si sente addosso.
E quando le si fa notare che in quei 17 miliardi ci sono anche i 4 della voluntary disclosure, chiede con ironia: «Ma chi pensate abbia fatto i 400mila accertamenti della voluntary?». La parola d’ordine, comunque, resta “compliance” che funziona, dice, perché un rapporto sereno tra fisco e amministrazione è utile a tutti . Sia alle grandi imprese, sia ai contribuenti più piccoli.
Vi accusano di pensare poco ai piccoli contribuenti. Come risponde?
Non è vero. Proprio la legge di bilancio, quest’anno, si occupa in modo coerente dei piccoli contribuenti. Mette in campo l’Iri, l’imposta sul reddito al 24%, per rafforzare le piccole imprese; il regime di cassa – che pure ha bisogno di alcune importanti correzioni – per snellire gli adempimenti; le novità che in prospettiva arriveranno sugli studi di settore. Tutti strumenti che vanno esattamente nella direzione che abbiamo con forza intrapreso da quasi tre anni e cioè di aumentare la tax compliance.
Ed è una strategia che sta funzionando?
Sono i numeri a dirlo. La compliance ha un doppio valore: da un lato spinge la crescita, perché la certezza delle regole e un buon rapporto tra fisco e contribuenti creano un contesto positivo; dall’altro, consente la tenuta del gettito. Ed è quello che è successo: basta guardare gli ultimi dati sulla crescita delle entrate. Nonostante la riduzione di molte voci di prelievo – l’Irap è stata tagliata fortemente, sono arrivate agevolazioni sull’Irpef e sconti sul reddito d’impresa, come i superammortamenti – gli incassi dello Stato aumentano. E aumentano a un ritmo molto superiore rispetto alla crescita del Pil. Ma, scusate: da dove pensate possa arrivare questo nuovo gettito se non da una maggiore compliance dei contribuenti?
D’accordo, ma siamo un Paese che continua ad avere un’evasione altissima…
Io dico che la strategia attuata e l’azione messa in atto stanno funzionando. Ripeto: il gettito cresce. E allo stesso tempo sono in crescita anche le attività di recupero di evasione pregressa. Siamo riusciti a tenere entrambe le cose su un giusto binario.
Ha fatto un cenno ai nuovi studi di settore. A che punto siete?
Io scommetto fortemente su una profonda rivisitazione degli studi di settore, chiamiamoli “nuovi indici”. Perché stanno dentro una filosofia vincente. Che è questa: caro contribuente, ti fornisco gli elementi per capire bene dove ti collochi, utilizzando tutti i dati che ho già a disposizione, in un approccio che è anche quello di semplificare il rapporto. Stiamo cercando di avere dati sempre più “puliti” e ciò sarà fondamentale per la costruzione dei nuovi indici. Lo sforzo che chiediamo ai contribuenti è di fornirci dati in tempo reale in cambio di una serie di vantaggi. Non sono mai stata una sostenitrice degli accertamenti automatici con gli studi di settore, ho sempre pensato che non fosse opportuno utilizzare quello strumento come strumento di accertamento ma semmai di selezione. Ora bisogna miglioralo. Con nuovi criteri, con una nuova metodologia, con dati diversi e nuove finalità. Non sarà un lavoro breve. Ma d’altra parte nessuna semplificazione può nascere in un giorno.
Quanto tempo servirà per vedere all’opera i nuovi indicatori?
Secondo Sose, la società che elabora gli studi di settore, per arrivare ai nuovi indici ci vorranno due anni. Partiremo gradualmente, man mano che si evolvono saranno resi operativi. Ma ricordate che dietro c’è un profondo lavoro di analisi su cui si sta concentrando il consigliere Vieri Ceriani. La logica è di creare un contesto in cui si possano dare maggiori certezze anche alle piccole imprese.
Sulle nuove comunicazioni trimestrali che ha di fatto citato non si riscontra però l’entusiasmo dei contribuenti…
Dobbiamo chiarire, senza polemiche. Le comunicazioni trimestrali Iva esistono in tutta Europa e dobbiamo chiederci perché noi le abbiamo ignorate. Forse la Commissione europea non è così contenta delle nostre regole visto che l’Iva è una risorsa propria della Ue. Che cosa riteniamo di poter fare con queste comunicazioni? È molto semplice: avere quei dati in tempo reale ci consente di avvisare immediatamente il contribuente nel caso in cui emergano anomalie. Hai fatto un errore? Non hai comunicato i dati? Non hai versato? Attivati subito e con il ravvedimento mettiti in regola. È sempre la stessa filosofia di fondo: instradare un po’ alla volta il contribuente su una strada di comportamento corretto senza arrivare all’accertamento.
Sì, ma per gli operatori è un nuovo onere e quindi nuovi costi. Non le pare?
Lasciatemi dire. Abbiamo già fornito la bozza della comunicazione dei dati Iva – i commercialisti non possono negarlo – ed è esattamente la comunicazione della liquidazione trimestrale dell’Iva che già viene fatta. Si tratta degli stessi dati previsti da un obbligo di legge che già esiste. Non c’è nessun lavoro supplementare se non l’invio di quei dati. Qui ci stiamo sforzando per consentire l’invio anche con programmi gratuiti. Capisco invece che ci sia un onere in più sull’invio dei dati telematici delle fatture e su questo ci dovremo soffermare. Vedremo se con il decreto attuativo potranno esserci modifiche sui tempi. Però guardiamo alla sostanza: con le semplificazioni abbiamo tolto molti oneri. L’Agenzia delle Entrate non si è opposta a niente, anzi molte semplificazioni le abbiamo sostenute noi dopo un lungo confronto con i soggetti interessati. Abbiamo chiesto persino l’abolizione della comunicazione dei dati relativi ai beni concessi in godimento ai soci, che è uno degli oneri più pesanti, che poi è saltata ma che vogliamo riproporre. Insomma: i dati delle comunicazioni sono fondamentali e ci stiamo impegnando per arrivare a un invio ultra semplificato.
Ma perché tante proteste? I commercialisti sono in rivolta e hanno persino proclamato un giorno di sciopero, cosa mai successa prima.
Sentite, io posso dire che cercheremo di capire e avremo certamente un dialogo aggiuntivo, anche con il nuovo presidente Massimo Miani. Forse c’è un clima di preoccupazione legato a una crisi economica che si sta facendo sentire. Ma lo voglio dire ancora: cercheremo con i commercialisti di capire come alleggerire questo onere. Ma usciamo dalla logica che chiedere questi dati sia un capriccio: è un dato di fatto che in questo Paese abbiamo la maggiore evasione Iva. Loro sono convinti che queste comunicazioni non serviranno. Vedremo. Io credo che arriverà maggior gettito. Su reverse charge e split payment c’è stata una battaglia spaventosa ma poi, se si va a vedere, hanno funzionato. Abbiamo aumentato il numero dei rimborsi, tagliando anche i tempi e non abbiamo più procedimenti di infrazione europea. Abbiamo restituito complessivamente oltre 15 miliardi di Iva, eliminando anche un elemento distorsivo del sistema.
Una critica che spesso si sente è che avete molti dati ma non li riuscite o non li sapete e usare…
Non ci servono tanti dati. Ci servono i dati fondamentali, come quelli dell’Iva. È lì che si annida l’evasione. La conoscenza tempestiva del dato e l’utilizzo dei big data in modo corretto, in via preventiva, consente un salto significativo nella lotta all’evasione Iva. E questo è un vantaggio per tutti. Anche per chi l’Iva la paga e subisce la concorrenza sleale di chi la evade. Ed è un vantaggio per la collettività. Se recuperiamo gettito Iva evitiamo di aumentare l’imposta a tutti, visto che pende ancora una clausola di salvaguardia da 19 miliardi e mezzo. L’evasione Iva, per semplificare, può essere divisa in tre categorie: il sommerso puro, che neppure con questi dati si può intercettare; l’evasione classica, che può essere facilmente intercettata da questo sistema; e poi l’evasione da riscossione, cioè di chi dichiara e non paga, cresciuta negli ultimi anni e che si può intercettare prima di inviare la cartella. Con un’azione preventiva si porta più gettito e si semplifica il rapporto con il contribuente.
Che cosa ci dice dei risultati del 2016?
Beh, stiamo ancora chiudendo i conti, l’anno è appena terminato e nelle prossime settimane continueranno ad affluire i dati sugli F24 che arrivano dalle banche. Per essere sicuri del risultato dobbiamo attendere ancora qualche giorno ma una cosa la posso già dire: qualcuno mi aveva chiesto di arrivare a 17 miliardi di incassi nel 2017. Bene: noi i 17 miliardi li abbiamo già superati nel 2016. E in modo molto chiaro dico che abbiamo fatto il massimo possibile nelle condizioni in cui abbiamo operato. Di più: è il terzo anno consecutivo che gli importi incassati dall’agenzia delle Entrate crescono. Lo abbiamo fatto senza azioni sanguinose, seguendo le strategie Ocse, e grazie al confronto. Mi piace ricordare che l’Agenzia delle Entrate è partita dai 2 miliardi del 2001, siamo passati ai 14,9 miliardi del 2015 e ora siamo a ben oltre 17 miliardi.
Lettere del Fisco oltre quota 600mila
Sì, ma in questo importo non ci sono solo i risultati della lotta all’evasione…
È vero. Abbiamo implementato le azioni di contrasto. Quando i dati saranno ufficiali, a breve, si vedrà come sono cresciute tutte le attività: il recupero da 36bis e 36ter (quelli automatizzati per intenderci), la parte relativa all’attività di controllo, in cui ci sono anche i 400mila accertamenti della voluntary disclosure. Abbiamo dedicato più della metà delle nostre risorse alla voluntary. Ma mentre tutti dicevano che avremmo fatto solo quello, al contrario abbiamo raggiunto lo stesso valore di accertamento dell’anno precedente. In più recupero da voluntary diventa strutturale e si trasforma in un allargamento sensibile della base imponibile per gli anni futuri.
Scusi, ma se negli oltre 17 miliardi ci sono i 4 miliardi di voluntary, allora in realtà i vostri incassi subiscono una riduzione…
Su questi dati non si può giocare. Ma secondo voi chi li ha fatti i 400mila accertamenti, relativi a 130mila istanze, che sono serviti a incassare i 4 miliardi della voluntary? Non stiamo parlando di uno scudo fiscale ma di una procedura che ha richiesto un controllo “one to one” con controlli molto complicati e con contraddittorio per ogni contribuente. Non c’è stata una semplice liquidazione delle imposte ma un controllo specifico e trasparente, come chiesto dal Parlamento. A questi 400mila controlli hanno lavorato 4mila addetti, senza ulteriori risorse. Le altre forze sono state impegnate nell’attività di accertamento che ha portato più o meno gli stessi risultati degli ultimi tre anni. E nel conteggio dei 17 miliardi mancano ancora gli incassi delle lettere di compliance. E poi fatemi dire un’altra cosa: la prossima settimana saremo a Parigi per spiegare la nostra voluntary. L’Australia ci ha chiesto di capire come abbiamo operato perché sono interessati alla nostra procedura. Quello che voglio dire è che la parte migliore della nostra struttura ha lavorato non solo alla liquidazione delle istanze di adesione ma ha consentito di chiudere le falle del nostro sistema, abbiamo fatto analisi sui meccanismi e i criteri utilizzati per far transitare all’estero i capitali o occultare patrimoni e capitali al Fisco. E la creazione di questa professionalità rappresenta un valore enorme.
Utilizzerete le analisi da voluntary per fare richieste selettive di dati sui cittadini italiani ad altri Paesi?
Stiamo chiedendo informazioni e dati a Paesi con cui abbiamo ratificato accordi sullo scambio di informazioni, come la Svizzera o Monaco. Saranno importanti anche per la nuova voluntary. Con l’operazione su Credit Suisse ci sono stati 3mila controlli mirati. Una parte di questi era già finita in voluntary e una parte no. E su questi stiamo ancora operando. Va dato il giusto merito al nucleo della Guardia di Finanza di Milano, che ha lavorato con i nostri e alla Procura, portando una banca come Credit Suisse a definire la propria posizione fiscale con l’Italia.
E oltre alla voluntary, sul fronte internazionale come vi muovete?
Naturalmente siamo impegnati nel contrasto all’elusione delle grandi multinazionali, ma anche al contrasto all’esportazione dei capitali utilizzando proprio i dati e i comportamenti che sono emersi durante il nostro lavoro sulla voluntary. Su queste linee dovremo in futuro intercettare nuovi comportamenti illeciti. Altri Paesi hanno strutture gigantesche che operano solo in relazione a questi comportamenti, noi lo facciamo in modo più artigianale ma con successo. Un esempio concreto? Abbiamo chiuso il controllo su Apple, che ha già pagato e lo ha fatto senza nessuno sconto, e con altri colossi del web siamo a buon punto e presto dovrebbero pagare. In alcuni paesi ci sono state interrogazioni parlamentari in cui si chiede al governo di agire come ha fatto l’Italia. Per una volta almeno siamo un benchmark per altri Stati. In più, anche qui è importante capire che siamo di fronte a un ulteriore e importante ampliamento della base imponibile, perché queste società d’ora in poi dovranno pagare le loro giuste tasse in Italia.
Patent box, ruling, cooperative compliance: che prospettive vede?
Ci sono solo quattro paesi che fanno la cooperative compliance. Abbiamo da pochi giorni chiuso un accordo con 5 società del gruppo Ferrero. Vuol dire che un gruppo come Ferrero ha creduto nel fisco italiano. Ci sono almeno altri 15 gruppi che hanno fatto richiesta e ci stiamo lavorando. Sul patent box abbiamo chiuso le prime procedure ma soprattutto abbiamo creato il modello seguendo precise metodologie e tipologie. In più, il segnale che va evidenziato, sia per il patent box sia per la cooperative compliance, è che grazie a questi accordi le grandi aziende ottengono ottimi ritorni in termini di reputation. E poi il ruling internazionale, che segue le linee guida Ocse e comporta un’analisi approfondita del processo su come si forma la ricchezza del soggetto per definire una corretta la ripartizione della base imponibile fra Stati. Quest’anno abbiamo fatto molti accordi: sono accordi che danno certezza agli operatori e che fanno crescere gettito. Pensate che con un solo ruling abbiamo stabilito che una grande società avrà un imponibile medio di 80 milioni in più per i prossimi 5 anni. Questa si chiama compliance. E questa si chiama certezza del diritto che consente a soggetti, soprattutto stranieri, di radicarsi in Italia.
FISCO
Fisco/Meno costi per chi si mette subito in regola
Ma non si rischia di trasferire l’idea, come alcuni già dicono, di una sorta di “salotto buono” del Fisco fatto su misura per le grandi imprese?
No. È un’altra fantasia italiana. Guardiamo i dati dell’anno scorso. Il recupero fiscale sui grandi soggetti in proporzione è molto più alto rispetto alle centinaia di migliaia di accertamenti fatti sui medio-piccoli. In Italia ci sono 3mila società, che diventano 4.500 con le holding , che direttamente o indirettamente versano circa il 50% del gettito (comprese ritenute e Iva). Con questi gruppi abbiamo fatto cose pesanti (ribadisco: Apple, Credit Suisse ecc.). Come si può sostenere che abbiamo un occhio di riguardo verso i grandi? L’ho appena detto: con il ruling abbiamo ampliato la base imponibile di 80 milioni all’anno, 400 milioni in cinque anni di maggiore imponibile, per una sola grande società. Abbiamo una struttura antifrode, con tanto di cabina di regia con altre amministrazioni. Questa l’abbiamo voluta per contrastare le frodi Iva. E questa è un’attività su cui si lavora molto ma che non viene pubblicizzata a sufficienza.
I rapporti di Ocse e Fmi sottolineano la mancata autonomia gestionale delle agenzie. In questi tre anni si è sentita molto vincolata all’organo politico?
È un tema complicato che richiede scelte politiche e di governo. Il nodo vero è la natura delle agenzie fiscali che ha bisogno di acquisire risorse specializzate. Va chiarita qual è la loro funzione nel sistema.
Alla luce delle riforma della riscossione c’è spazio per una più ampia revisione delle agenzie fiscali?
L’agenzia delle riscossione è un ente pubblico economico come il Demanio e dunque con un ordinamento diverso da quello delle Dogane e delle Entrate. Non è propriamente un’agenzia. Il legislatore ha fatto una scelta creando un ente strumentale per rispondere a un’esigenza sottolineata dall’Fmi là dove evidenzia che nei sistemi moderni la riscossione erariale è interna al sistema agenziale. La riscossione italiana è particolare: si occupa di 7.500 enti, non è propriamente erariale. Ritengo opportuna la trasformazione in ente pubblico per una maggiore sostenibilità della struttura, una maggiore terzietà nei rapporti e una maggiore trasparenza nell’azione di recupero. La strada è giusta ora va messa in pratica. E ritengo che sarà vincente se la riforma riuscirà a migliorare la parte organizzativa e a rendere più efficiente la macchina adottando strumenti di natura pubblicistica.
E la questione dirigenti?
È una storia terribilmente complicata. Aspettiamo di avere le sentenze. Per ora non siamo in grado di procedere e siamo bloccati. Ma attenzione: ora abbiamo meno di 300 dirigenti su oltre 40mila addetti e alla fine di quest’anno ben 45 andranno in pensione. Abbiamo un vuoto generazionale difficile da colmare. Ora lo stiamo supportando con tanta buona volontà di quanti sono rimasti in agenzia per lavorare.
Torniamo alla compliance. Molti lamentano il fatto che il confronta con l’ufficio locale si rimasto al fisco del passato. Come la vede?
Cambiare i comportamenti è complesso. Non bastano lettere, circolari e indirizzi. Abbiamo fatto corsi di formazione, che prima che tecnici sono relazionali. Gestiamo una fiscalità di massa, dal canone Rai ai rapporti internazionali. C’è una cultura da modificare che richiede una presa di responsabilità da parte dei capi uffici e dei capi team. I problemi più grandi li abbiamo sui back office che si occupano di questioni minute, dal piccolo tributo al piccolo rimborso. Poi va detto che il cammino è più difficile in taluni casi e in alcune aree del Paese dove c’è un’età media più alta e far cambiare modalità di lavoro e approccio con i comportamenti è meno agevole. Ci aspetta un lavoro non facile ma sono certa che questa sia la direzione giusta.
–di Marco Mobili e Salvatore Padula 12 gennaio 2017 – Ilsole240re
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