L’estinzione della società non azzera i debiti tributari

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L’estinzione della società a seguito della cancellazione dal registro delle imprese non chiude le porte al recupero dei debiti tributari da parte del Fisco. Il perimetro entro cui l’agenzia delle Entrate può attivarsi è quello delineato dalle due disposizioni di riferimento: l’articolo 2495 del Codice civile e l’articolo 36 del Dpr 602/1973. Non sempre, però, sulla questione sono arrivati orientamenti allineati da parte della giurisprudenza tributaria.
Il quadro di riferimento
Dal 1° gennaio 2004 la cancellazione delle società di capitali e di persone dal registro delle imprese ha effetto costitutivo e può intervenire anche in pendenza di rapporti in essere (creditori o debitori) che non ne costituiscono quindi un ostacolo. È una differenza fondamentale rispetto alle regole precedenti in base alle quali l’estinzione presupponeva l’esaurimento necessario di tutti i rapporti giuridici esistenti. Prima, quindi, l’emersione di un debito della società cancellata aveva l’effetto di “ridare vita” al soggetto giuridico non più esistente.
Nel nuovo contesto, tuttavia, i rapporti passivi non vengono meno per effetto della cancellazione. Se così fosse, infatti, si lascerebbe libero il debitore di disporre del diritto altrui: una circostanza che appare incompatibile con il contesto normativo complessivo e con l’articolo 2492 del Codice civile che non riconosce al creditore la legittimazione a proporre reclamo contro il bilancio finale di liquidazione. È la posizione assunta dalle Sezioni unite della Cassazione che sono tornate sul tema della cancellazione delle società (sentenze 6070/2013, 6071/2013 e 6072/2013) chiarendo che l’estinzione dell’ente non può comportare anche l’estinzione dei diritti dei terzi. Secondo la Corte, questi ultimi, infatti, conservano le medesime garanzie che gli stessi avevano quando la società era in vita e che la cancellazione dà luogo a un fenomeno di tipo successorio. Con la cancellazione, quindi, la società si estingue sul piano giuridico con tutti gli effetti conseguenti e le obbligazioni societarie si trasferiscono ai soci con effetti differenti a seconda che il credito fosse vantato nei confronti di una società di capitali piuttosto che di una di persone.
Il doppio fronte
In questo contesto occorre collocare le due disposizioni.
eL’articolo 2495 del Codice civile individua in via generale nei confronti di chi e quando i creditori sociali della società estinta si possono rivolgere per soddisfare i propri diritti. Al di là delle posizioni di soci e liquidatori (si veda gli altri articoli in pagina), la disposizione disciplina i diritti dei creditori sociali in senso lato e quindi anche del creditore Fisco. In presenza delle condizioni previste, quindi, l’Erario è legittimato ad azionare il recupero per l’intero proprio credito (per esempio Ires, Irap o Iva).
rL’articolo 36 del Dpr 602/1973 è rubricato «Responsabilità e gli obblighi degli amministratori, dei liquidatori e dei soci». L’aspetto che caratterizza questa disposizione di matrice tributaria è che ha un ambito di operatività limitato nel senso che si può rendere applicabile solo per le società di capitali e solo per l’Ires. In questo senso è dirimente l’articolo 19 del Dlgs 46/1999. Invocando tale disposizione, l’amministrazione finanziaria non può richiedere l’Iva o l’Irap per le quali si può eventualmente applicare l’articolo 2495 del Codice civile. Pur trattandosi di una norma relativa a una responsabilità contrattuale con termine di prescrizione decennale (secondo un orientamento ormai condiviso), le controversie su atti emessi ex articolo 36 del Dpr 602/1973 competono al giudice tributario (comma 5).
La motivazione
Pertanto, l’articolo 36 del Dpr 602/1973 non è stato affatto implicitamente abrogato dall’entrata in vigore dell’articolo 2495 del Codice civile, ma le due disposizioni continuano a essere applicabili in via separata, disciplinando ambiti diversi anche se contigui. Quello che la giurisprudenza tributaria insegna, però, è che l’ufficio ha l’onere di individuare nel proprio atto, quale disposizione intende applicare e quindi motivare se stia agendo ai sensi dell’articolo 36 o dell’articolo 2495. E individuata la disposizione di riferimento l’ufficio ha l’onere di provare quali siano i presupposti di merito che configurano la responsabilità per i soci e/o per i liquidatori e che legittimano la loro chiamata in causa.
In base, poi, all’ordinanza 16373/2014 della Cassazione (si veda Il Sole 24 Ore del 18 luglio scorso), il Fisco è chiamato a indicare nell’atto impositivo i motivi per i quali si ritiene che il curatore fallimentare sia responsabile in solido per i debiti tributari della società: non basta, insomma, la semplice notifica della cartella di pagamento.

Fonte : ilsole24ore.it

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