Rientro dei capitali, la voluntary-bis allunga di un anno a parità di sanzioni
Una voluntary-bis quasi in fotocopia della precedente. Stesse regole, stesse procedure, stessi modelli per non precludere il successo dell’operazione. La novità allo studio è quella di non aumentare le sanzioni ma di estendere l’arco temporale di applicazione. Finora si è ragionato sull’estensione del rientro dei capitali al 30 settembre 2015 (la precedente edizione si “fermava” al 30 settembre 2014). Sul tavolo, però, c’è pure l’ipotesi di arrivare a “coprire” un arco temporale di sei anni, includendo anche il 2009 ormai non più accertabile (salvi i casi di raddoppio dei termini). Il tutto, come anticipato, a penalità invariate rispetto alla voluntary «1.0».
IL BILANCIO PRECEDENTE
Il gettito stimato dalla prima voluntary disclosure. Valori in milioni di euro. (Elaborazioni su dati Agenzia delle Entrate)
La valutazione di convenzienza sulla nuova emersione non sarà vincolata solo ai paletti temporali e sanzionatori. Lo scenario internazionale (da considerare), infatti, è destinato drasticamente a cambiare nel 2018, quando debutterà lo scambio automatico di informazioni tra autorità fiscali. Un passaggio-chiave per escludere a priori ogni ipotesi di voluntary disclosure a regime.
Intanto, nell’immediato stanno andando avanti gli incontri informali tra il ministero dell’Economia e i rappresentanti di Paesi a fiscalità “privilegiata”. L’ultimo in ordine di tempo è stato quello della scorsa settimana con Panama: le autorità dello Stato centro-americano hanno espresso la loro disponibilità ad aprire tutti i canali di informazioni (e dopo il caso Panama papers i contribuenti interessati non sono poi così pochi). Il tutto nella prospettiva di un’uscita di Panama dalle black list.
D’altro canto, si assiste anche a una crescente pressione sui capitali in Stati finora ritenuti sicuri e inaccessibili al Fisco italiano. Il costo di questa sicurezza sono minori rendimenti (in alcuni casi finiti addirittura sotto zero con l’erosione del capitale). E comunque, vista la rete di controlli e di scambi di informazioni che si sta delineando, diventa sempre più difficile e costoso anche trasferire i capitali da quei Paesi.
Inoltre, la partita della nuova voluntary si gioca sul rendere appetibile anche l’emersione di capitali interni, cioé non esportati all’estero. Quella che nella voluntary «domestica» era stata definita l’emersione delle cassette di sicurezza. Un aspetto da cui dipenderà molto probabilmente il gettito finale dell’operazione «2.0». Le stime ufficiose parlano di 1,5-2 miliardi, che potrebbero anche salire se si riuscisse a trovare una quadra su contante, oro e altri preziosi oggi custoditi nei caveau delle banche. Sicuramente c’è l’ostacolo legato alla provenienza dei valori, che potrebbero essere stati ottenuti con operazioni di riciclaggio di denaro sporco e dall’altro potrebbero addirittura innescare questa pratica illecita. Infatti, il capitale una volta rientrato o ripulito con la voluntary sarebbe riutilizzabile nell’economia reale. Si pone, poi, il problema di identificare i titolari dei patrimoni nelle cassette di sicurezza. A differenza degli scudi fiscali che garantivano l’anonimato e che, peraltro, non sarebbero più tollerati né in sede Ue né in sede Ocse, le esperienze di voluntary disclosure si fondano tutte sulla trasparenza di chi si autodenuncia al Fisco.
Fonte: Ilsole24ore – Marco Mobili e Giovanni Parente