Vendita immobiliare: comodato inopponibile al nuovo proprietario.
A seguito della stipula di un contratto di compravendita, il nuovo proprietario agiva nei confronti del comodatario, per ottenere la condanna al rilascio del bene in questione in ragione dell’inopponibilità del contratto di comodato, nonché per il risarcimento dei danni patiti.
Il comodatario, pur costituendosi in giudizio, addiveniva alla stipula di un contratto di locazione relativo al medesimo immobile e corrispondeva una somma a titolo di risarcimento del danno per il periodo successivo alla data del 31.12.2005.
Il Tribunale adito dichiarava cessata la materia del contendere e rigettava la domanda di condanna generica al pagamento dei frutti civili per il mancato godimento del bene, condannando l’attore al pagamento delle spese di lite.
Il giudizio di appello si concludeva invece con una sentenza di parziale accoglimento, laddove il comodatario veniva condannato al risarcimento dei danni limitatamente al periodo dal 22 dicembre 2004 al 31 dicembre 2005: ossia dalla data della prima diffida al rilascio dell’immobile fino all’inizio del periodo rispetto al quale il comodatario aveva già corrisposto un risarcimento in via stragiudiziale.
Il proprietario impugnava anche la sentenza di secondo grado, a lui parzialmente favorevole, lamentando la violazione dell’art. 1372, 2 comma c.c. e dell’art. 1219 c.c. in relazione all’art. 1809 e 1810 c.c.. In particolare, esso affermava la tesi secondo cui, stante l’inopponibilità al terzo acquirente del contratto di comodato stipulato dall’alienante, la detenzione dell’immobile posta in essere da parte del comodatario sarebbe qualificabile come mera occupazione priva di titolo a prescindere dall’invio di una diffida al rilascio dell’immobile.
Da ciò la richiesta di veder corrisposto il risarcimento del danno dal momento della stipula del contratto di compravendita, anziché dalla data di invio della diffida al rilascio.
In sostanza secondo il ricorrente, soltanto il comodante avrebbe l’onere di sollecitare la restituzione del bene, mentre l’acquirente, non essendo legato da alcun vincolo contrattuale con il comodatario, non avrebbe l’onere di mettere in mora quest’ultimo, in quanto tale detenzione del bene si configurerebbe come illecito aquiliano senza necessità di messa in mora.
La Corte ha però rigettato tale argomentazione. Infatti – dopo aver ricordato che il contratto di comodato di un bene stipulato dall’alienante di esso in epoca anteriore al suo trasferimento non è opponibile all’acquirente del bene stesso, atteso che le disposizioni dell’art. 1599 c.c. non sono estensibili, per il loro carattere eccezionale, a rapporti diversi dalla locazione – ha evidenziato come tale inopponibilità si ponga su un piano diverso rispetto al tema della legittimità dell’occupazione da parte del comodatario.
Peraltro, sottolinea la Corte, la Corte d’Appello aveva considerato la diffida inviata dal ricorrente al comodatario non come una messa in mora, ma come un atto idoneo a manifestare la volontà di voler disporre liberamente del proprio bene.
E proprio dal momento di tale manifestazione di volontà deve decorrere il periodo di occupazione del bene suscettibile di produrre un danno in capo al proprietario.
Per tali motivi la Corte ha dunque confermato la sentenza di secondo grado.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – SENTENZA 18 gennaio 2016, n.664
Fonte: Altalex.