Esterovestizione bisogna distinguere tra potere di direzione e coordinamento delle imprese del gruppo e sede di direzione effettiva

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Esterovestizione bisogna distinguere tra potere di direzione e coordinamento delle imprese del gruppo e sede di direzione effettiva

La sentenza della Cassazione n. 43809 del 30 ottobre 2015 riconosce che il tema dell’esterovestizione deve essere affrontato e risolto, tra l’altro, avendo ben presente la distinzione che intercorre tra il luogo di effettivo esercizio della direzione amministrativa (c.d. sede di direzione effettiva) della società e luogo in cui si colloca il potere di direzione e coordinamento della società capogruppo.

Com’è noto, dal 2006 l’art. 73 del TUIR prevede delle presunzioni legali relative di residenza nei confronti di società estere che detengano partecipazioni di controllo ai sensi dell’art. 2359, comma 1, c.c. in società o enti commerciali residenti e che, alternativamente, siano: i) controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’art. 2359, comma 1, c.c., da soggetti residenti nel  territorio  dello Stato, ovvero ii) amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro  organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

Tali previsioni, ancorché fissino criteri meramente presuntivi per contrastare il fenomeno delle residenze estere “di comodo” (c.d. esterovestizione) e, cioè, la delocalizzazione all’estero di strutture produttive gestite dall’Italia, oltre ad evocare significati ambigui e non sempre chiari nell’opinione pubblica, sono state oggetto di dubbi interpretativi di non facile soluzione e hanno determinato un cospicuo contenzioso tra fisco e contribuenti.

A questo proposito, la Corte di Cassazione opportunamente specifica (punto 16.79) che la “esterovestizione” si realizza esclusivamente allorquando vengono insediate nello Stato estero strutture di natura artificiosa, mancanti cioè di sostanza economica, al solo fine di imputare ad esse redditi effettivamente realizzati nel territorio italiano. Laddove, invece, le entità imprenditoriali siano giuridicamente ed economicamente reali ed indiscutibili nella loro effettiva esistenza, l’unico problema che si pone è quello di ripartire in modo corretto la potestà impositiva fra lo Stato di insediamento e l’Italia, laddove ci siano sovrapposizioni fra i criteri di residenza previsti da entrambi gli ordinamenti e, comunque, rispettando il principio del divieto di doppia imposizione. È in questo contesto che si colloca la regola, comunemente accettata nei Trattati contro le doppie imposizioni, di dirimere tale conflitto dando prevalenza al luogo in cui viene esercitata l’attività amministrativia che rappresenta, come tale, il “cuore” della gestione imprenditoriale.

Sotto questo profilo, la Corte di Cassazione correttamente evidenzia (punto 16.29) che identificare “tout court” la sede amministrativa della società controllata con il luogo nel quale si assumono le decisioni strategiche o dal quale partono gli impulsi decisionali” potrebbe determinare “conseguenze aberranti ove esso dovesse identificarsi con la sede della società controllante, in evidente contrasto con le ragioni stesse della politica del gruppo e le esigenze sottese al suo controllo”. Più in particolare, secondo i giudici di legittimità tale approccio si pone addirittura in contrasto con «la presunzione di “etero direzione” della società controllata che costituisce la “ratio” della disciplina di cui all’art. 2497 c.c. e segg. (…) e in particolare con quanto espressamente prevede l’art. 2497 sexies c.c., secondo il quale “si presume salvo prova contraria che l’attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci o che comunque le controlla ai sensi dell’art. 2359”.

Dunque, il punto di fondo è che il luogo di effettivo esercizio della direzione amministrativa (c.d. sede di direzione effettiva) non può essere confuso con quello in cui si colloca il potere di direzione e coordinamento della società capogruppo, potere che è riconosciuto obiettivamente dal diritto internazionale ed è sancito a chiare lettere nell’art. 2497 c.c.
In quest’ottica occorre prendere atto che nei gruppi transnazionali esistono delle linee parallele e differenti di management: quella che gestisce la direzione e il coordinamento presso la capogruppo, e quella che quotidianamente esercita l’attività gestionale.

È ormai tempo, dunque, che questo delicato aspetto venga esaminato e risolto con maggiore attenzione da parte di tutti i competenti organi, anche in sintonia con le indicazioni degli organismi internazionali ed al fine di evitare che l’attività di accertamento arrechi pregiudizio evidente proprio ai gruppi transnazionali di matrice italiana che hanno capogruppo in Italia.

Fonte: Assomine

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