Autotutela: il rifiuto non è impugnabile.

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Autotutela: il rifiuto non è impugnabile.

Contro il diniego dell’Amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria. Diversamente attraverso l’impugnazione del diniego di esercizio di autotutela si consentirebbe l’aggiramento del termine di decadenza previsto, a garanzia del principio di certezza del diritto e di tendenziale stabilità dei rapporti giuridici, per l’impugnazione degli atti impositivi che rimarrebbero quindi esposti a riesame a tempo indeterminato tutte le volte che il contribuente, pur divenuto definitivo l’avviso di accertamento o rettifica, presenti istanza di revisione in autotutela e ritenga di impugnare il provvedimento espresso o tacito non satisfattivo del proprio interesse rivolto alla rimozione dell’atto impositivo definitivo.

Il diniego dell’Erario di esercitare l’autotutela è impugnabile solo per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto ma non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria. Così la Corte di Cassazione nella sentenza n. 22253 del 2015.
Il fatto trae origine dal contenzioso instaurato tra una S.r.l. e l’Agenzia delle dogane. Con avviso notificato alla S.r.l. l’Agenzia delle Dogane contestava con atto “fatto proprio dalla Agenzia delle Entrate” la indebita applicazione del regime del plafond mobile e la omessa presentazione della dichiarazione annuale IVA per l’anno 1999, oltre ad altre violazioni formali, recuperando la relativa imposta, e con atto di contestazione irrogava la sanzione pecuniaria per omessa o tardiva fatturazione concernente il successivo anno d’imposta 2000.
La società presentava istanza per l’annullamento degli avvisi in autotutela, che veniva rigettata dall’Ufficio. La società proponeva ricorso avverso il provvedimento di diniego e la CTP, rigettata la istanza di sospensione, alla udienza di trattazione dichiarava inammissibile il ricorso. La CTR rilevava la nullità della decisione di prime cure essendo stato omesso l’avviso di udienza alle parti che ne avevano fatto richiesta. Nel merito dichiarava inammissibile il ricorso introduttivo non essendo impugnabile il provvedimento di diniego della istanza in autotutela, e liquidava le spese a carico del soccombente “pur tenendo conto della sussistenza delle violazioni lamentate dalla parte”.
Contro la sentenza di appello presentava ricorso per cassazione la società. Dal ricorso era dato evincere che distinti avvisi sono stati notificati in data 15.11.2006 alla società contribuente, per gli anni 1999 e 2000, dall’Agenzia delle Dogane e dall’Agenzia delle Entrate (quest’ultima ha emesso avviso avente ad oggetto la rettifica della dichiarazione IVA relativa all’anno 2000).
Nelle more dei giudizi avverso gli atti impositivi la società aveva presentato alle due Agenzie fiscali “istanza di ritiro” degli atti impositivi in autotutela. L’Agenzia delle Entrate ha opposto diniego espresso, rilevando che la contribuente non aveva addotto motivi nuovi rispetto a quelli già contestati dall’Ufficio nella memoria di costituzione in giudizio. L’Agenzia delle Dogane ha opposto silenzio-rifiuto.
Avverso i provvedimenti di diniego esplicito ed il silenzio-rifiuto, la società aveva presentato quindi ricorso alla CTP che venia dichiarato inammissibile e non essendo tali atti ricompresi nell’elenco tassativo di cui all’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992. La pronuncia era confermata in grado di appello dalla CTR che riteneva preclusa al giudice tributario qualsiasi ingerenza nelle scelte discrezionali della Amministrazione finanziaria.
La Cassazione ha respinto il ricorso.
In particolare, osservano gli Ermellini, oggetto della controversia deve ritenersi esclusivamente la opposizione avverso i provvedimenti di diniego, esplicito e tacito, di esercizio di autotutela da parte dell’Agenzia delle Entrate e dell’Agenzia delle Dogane e non anche gli atti impositivi, per i quali pendono distinti giudizi (definiti – quanto all’IVA – in primo grado con sentenze della CTP prodotte con il ricorso per cassazione dalla società).
Tanto premesso, la Cassazione ha chiarito che eventuali istanze stragiudiziali rivolte alla Amministrazione al fine di sollecitare una rimeditazione delle proprie determinazioni, introducono un autonomo procedimento amministrativo e si situano nel diverso ambito dell’esercizio dei poteri officiosi riservati alla Pubblica amministrazione in ordine alla sindacabilità dei quali – pur dovendosi registrare la esistenza di contrasti giurisprudenziali in merito alla stessa impugnabilità, in considerazione della mancanza di una previsione espressa degli atti di autotutela nell’elenco tassativo di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, lettera a) – l’indirizzo che emerge dagli arresti giurisprudenziali più recenti, pur affermando la riconducibilità di tali atti (nonché dell’eventuale silenzio-rifiuto formatosi su istanza volta a sollecitare l’adozione di tali atti) nell’ambito della materia riservata alle Commissioni tributarie ha tuttavia chiaramente precisato che l’istanza del contribuente di adozione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di un provvedimento di autotutela sulla base di eventi sopravvenuti all’atto impositivo, è cosa diversa dalla domanda di annullamento dell’atto stesso per suoi vizi originali, con la conseguenza che il ricorso proposto al giudice tributario avverso il diniego parziale o totale di autotutela non può mai risolversi in una inammissibile impugnazione di atti impositivi in ordine ai quali siano già decorsi i termini per esperire la tutela giurisdizionale.
Non può dunque escludersi che – trattandosi di attività procedimentalizzata – anche il provvedimento emesso in autotutela possa essere affetto dai vizi di legittimità propri degli atti amministrativi, non essendovi ragioni per precludere al privato la possibilità di esperire i mezzi di tutela per far valere tali vizi di legittimità, ma, da un lato, il vizio di violazione di legge e quello di eccesso di potere non possono evidentemente sovrapporsi agli stessi vizi di validità o di merito fatti valere con i motivi del ricorso introduttivo proposto avverso l’atto impositivo (ove tempestivamente impugnato), venendosi altrimenti a determinare una inammissibile duplicazione di tutele, in palese contrasto con i principi di efficienza dell’amministrazione della giustizia (art. 97 Cost.), di speditezza e ragionevole durata dei processi (art. 111, comma 2 Cost.) e di economia dei giudizi (la proliferazione di pronunce sul medesimo oggetto non risponde al principio del “giusto processo”: art. 111, comma 1 Cost.); dall’altro la impugnazione del diniego di autotutela -espresso o tacito non si sottrae alla condizione necessaria dell’interesse ad agire, che non può che essere riferito all’interesse sostanziale che il privato intende “indirettamente” (atteso che la potestà di autotutela è attribuita dalla legge nell’esclusivo interesse della Amministrazione) soddisfare attraverso il provvedimento che chiede di adottare alla PA nell’esercizio dei poteri di autotutela.
Da qui, dunque, il rigetto del ricorso.
Di rilievo le conseguenze pratiche della sentenza. Contro il diniego dell’Amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria; diversamente attraverso la impugnazione del diniego di esercizio di autotutela si consentirebbe l’aggiramento del termine di decadenza previsto, a garanzia del principio di certezza del diritto e di tendenziale stabilità dei rapporti giuridici, per la impugnazione degli atti impositivi che rimarrebbero quindi esposti a riesame a tempo indeterminato tutte le volte che il contribuente, pur divenuto definitivo l’avviso di accertamento o rettifica, presenti istanza di revisione in autotutela e ritenga di impugnare il provvedimento espresso o tacito non satisfattivo del proprio interesse rivolto alla rimozione dell’atto impositivo definitivo.

Leggi qui la sentenza n. 22253 del 30.10.2015

Fonte: Ipsoa.

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