Per la revocatoria del fondo patrimoniale ad integrare l’animus nocendi previsto dalla norma e’ sufficiente che il debitore compia l’atto dispositivo nella previsione dell’insorgenza del debito e del pregiudizio per il creditore.
Con riferimento al caso di specie, non assume rilevanza la circostanza che il fondo patrimoniale fosse stato costituito per soddisfare le esigenze della famiglia perchè con l’azione revocatoria non si disconosce la validità del fondo patrimoniale e la sua causa (il soddisfacimento dei bisogni della famiglia) ma se ricorre l’elemento della consapevolezza del pregiudizio alle ragioni del creditore, la tutela delle ragioni quest’ultimo (realizzata riattribuendo al patrimonio separato la sua funzione di garanzia generica del credito) diventa prevalente nei limiti di quanto serva per il suo soddisfacimento. Con la sentenza n. 24757 del 2008 di questa Corte, si è chiarito che per la revocatoria del fondo patrimoniale ad integrare l’animus nocendi previsto dalla norma è sufficiente che il debitore compia l’atto dispositivo nella previsione dell’insorgenza del debito e del pregiudizio (da intendersi anche quale mero pericolo dell’insufficienza del patrimonio a garantire il credito del revocante ovvero la maggiore difficoltà od incertezza nell’esazione coattiva del credito medesimo) per il creditore.
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Presidente: Piccialli L.
Ordinanza
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Il relatore nominato per l’esame del ricorso ha depositato la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..
“Osserva in fatto e in diritto:
1. Con atto di citazione del 29/4/2009 K.R. conveniva in giudizio W.J. e P.C. chiedendo la declaratoria di inefficacia nei propri confronti, ai sensi dell’art. 2901 c.c., del fondo patrimoniale che i convenuti avevano costituito e tavolarmente annotato con i beni immobili di W.J..
A tal riguardo esponeva che con sentenza del 27/11/2008 il Tribunale di Bolzano aveva condannato W.J. a pagargli la somma di Euro 101.414,81 oltre accessori e che il fondo patrimoniale era stato costituito successivamente alla condanna.
I convenuti chiedevano il rigetto della domanda e, all’esito dell’istruttoria, il Tribunale di Bolzano accoglieva la domanda attorea dichiarando l’inefficacia del fondo nei confronti dell’attore.
I convenuti proponevano appello deducendo che erroneamente il giudice aveva ritenuto che il fondo patrimoniale fosse stato costituito con la consapevolezza di nuocere all’attore.
Con sentenza del 14/7/2012 la corte di Appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, rigettava l’appello e confermava la sentenza di primo grado.
W.J. e P.C. propongono ricorso affidato ad un unico motivo, al quale resiste con controricorso K. R..
2. Con l’unico motivo di ricorso i ricorrenti deducono il vizio di motivazione sostenendo che la sentenza di condanna al pagamento del risarcimento danni non era ancora passata in giudicato e che la Corte di appello non avrebbe considerato:
– che al momento della costituzione del fondo il creditore non aveva ancora avviato procedure esecutive in quanto la sentenza e il precetto sono stati notificati solo il 21/7/2009;
– che la costituzione del fondo non era diretta a sottrarre beni alle pretese creditorie, ma unicamente a garantire il miglior soddisfacimento delle esigenze della famiglia essendo costituito da beni immobili che formano il maso di proprietà sul quale vivono, oltre a loro due, 9 familiari; degli undici componenti il nucleo familiare 8 vi vivono e 3 lo lavorano;
– che l’attore non aveva nè fornito nè offerto alcuna prova in ordine alla sdentici damni.
2.1 Il motivo è manifestamente infondato.
Come noto, sui beni oggetto del fondo patrimoniale non è possibile agire forzosamente; i beni ed i frutti rispondono solo per obbligazioni contratte nell’interesse della famiglia.
L’azione pauliana è diretta proprio a tutelare il creditore rispetto agli atti del debitore di disposizione del proprio patrimonio, senza alcun discrimine circa lo scopo ulteriore avuto di mira dal debitore nel compimento dell’atto dispositivo e pertanto sono considerati soggetti all’azione revocatoria anche gli atti aventi un profondo valore etico e morale, come ad esempio il trasferimento della proprietà di un bene effettuato a seguito della separazione personale per adempiere al proprio obbligo di mantenimento nei confronti dei figli e del coniuge, in favore di quest’ultimo (v. Cass. 26/7/2005, n. 15603).
Con riferimento al caso di specie, non assume rilevanza la circostanza che il fondo patrimoniale fosse stato costituito per soddisfare le esigenze della famiglia perchè con l’azione revocatoria non si disconosce la validità del fondo patrimoniale e la sua causa (il soddisfacimento dei bisogni della famiglia) ma se ricorre l’elemento della consapevolezza del pregiudizio alle ragioni del creditore, la tutela delle ragioni quest’ultimo (realizzata riattribuendo al patrimonio separato la sua funzione di garanzia generica del credito) diventa prevalente nei limiti di quanto serva per il suo soddisfacimento. Con la sentenza n. 24757 del 2008 di questa Corte, si è chiarito che per la revocatoria del fondo patrimoniale ad integrare l’animus nocendi previsto dalla norma è sufficiente che il debitore compia l’atto dispositivo nella previsione dell’insorgenza del debito e del pregiudizio (da intendersi anche quale mero pericolo dell’insufficienza del patrimonio a garantire il credito del revocante ovvero la maggiore difficoltà od incertezza nell’esazione coattiva del credito medesimo) per il creditore.
E’ pur vero che l’elemento psicologico va provato dal soggetto che lo allega, ma può essere accertato anche mediante il ricorso a presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito, ed è incensurabile in sede di legittimità in presenza di congrua motivazione (v. Cass. n. 11916/2001).
Orbene, di tali principi la corte di merito ha fatto puntuale e corretta applicazione in presenza di una situazione fattuale che rivelava, con evidenza assoluta, la consapevolezza del danno per l’esistenza di una condanna al pagamento di una somma di importo elevato (nè rileva che la stessa non fosse passata in giudicato o che non fosse stato notificato un precetto, posto che non è necessaria l’intenzione di sottrarre il bene alla garanzia generica), precedente alla costituzione del fondo e per la mancata prova (come pure ha rilevato il giudice di appello) di un patrimonio residuo sul quale il creditore potesse soddisfare le sue ragioni.
3. In conclusione il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 380 bis e 375 c.p.c., per essere dichiarato manifestamente infondato”.
Il ricorso è stato fissato per l’esame in camera di consiglio e sono state effettuate le comunicazioni alle parti costituite.
Questo collegio condivide e fa proprie le argomentazioni della relazione e le relative conclusioni; pertanto il ricorso deve essere rigettato per manifesta infondatezza; le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza dei ricorrenti.
P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido a pagare al controricorrente le spese di questo giudizio di cassazione che liquida in Euro 3.000,00 per compensi oltre Euro 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile, il 17 aprile 2014.
Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2014
Fonte : giurilex.it