Quando può escludersi l’esecuzione sui beni costituiti in fondo patrimoniale dal debitore?

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Quando può escludersi l’esecuzione sui beni costituiti in fondo patrimoniale dal debitore?

Francesco Cavone, magistrato ordinario con funzioni di giudice civile presso il Tribunale di Brindisi.

La sentenza del Tribunale di Reggio Emilia del 20.5.2015 n. 765 affronta in modo le principali problematiche giuridiche inerenti all’applicazione del divieto normativo di esecuzione sui beni costituiti in fondo patrimoniale dal debitore; esecuzione che, ai sensi dell’art. 170 del codice civile, non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia. La prima questione, di carattere processuale, riguarda la distribuzione del relativo onere probatorio nel giudizio di opposizione all’esecuzione introdotto dal debitore; la seconda, di contenuto interpretativo, ha ad oggetto l’estensione da riconoscere ai bisogni della famiglia, quale presupposto normativo avente centrale rilevanza nella relativa prassi applicativa.

Il caso sottoposto all’attenzione del tribunale emiliano ha ad oggetto l’accertamento dell’impignorabilità di beni immobili conferiti dal debitore in un fondo patrimoniale trascritto anteriormente al pignoramento eseguito dal creditore, in applicazione del divieto normativo stabilito dall’art. 170 del codice civile di esecuzione sui beni del fondo patrimoniale per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

Per il relativo accertamento il Tribunale ha dovuto preliminarmente affrontare una prima  questione di carattere processuale avente ad oggetto la distribuzione dell’onere probatorio in merito, con particolare riguardo alla circostanza dell’effettiva conoscenza da parte del creditore dell’estraneità del debito contratto rispetto ai bisogni della famiglia del debitore.

Tale questione è stata risolta ritenendo che nel riparto del relativo onere probatorio spetti al debitore offrire la prova che il creditore conoscesse l’estraneità del debito ai bisogni della famiglia, dovendosi presumere fino a prova contraria (praesumptio iuris tantum) l’inerenza dei debiti contratti dai coniugi ai bisogni e alle esigenze di carattere familiare, anche in ragione del disposto normativo ex art. 143, comma terzo, del codice civile in base al quale entrambi i coniugi sono tenuti a contribuire ai bisogni della famiglia.

In virtù di tale presunzione, pertanto, il debitore deve allegare e provare l’estraneità del debito contratto ai bisogni della famiglia fornendo così la prova contraria alla presunzione di inerenza, al fine di paralizzare l’azione esecutiva promossa dal creditore sui beni conferiti in un fondo patrimoniale.

La sentenza in esame risulta essere in piena armonia con l’orientamento assolutamente maggioritario espresso dalla giurisprudenza in materia; giurisprudenza che afferma costantemente l’esistenza di tale presunzione ai fini della distribuzione del relativo onere probatorio tra le parti processuali.

Il richiamo all’art. 143, comma terzo, c.c non appare comunque soddisfacente non  comprendendosi  come l’obbligo di entrambi i coniugi di contribuire al mantenimento della famiglia possa comportare sul piano logico e giuridico una consequenziale  presunzione di finalizzazione di ogni debito contratto da ciascuno dei coniugi all’assolvimento di tale obbligo, ben potendo gli stessi agire, come è ovvio, per le finalità più diverse.

Tale distribuzione dell’onus probandi potrebbe trovare una diversa giustificazione in virtù del principio processuale di prossimità e disponibilità della prova (potendo il debitore più facilmente provare sul piano oggettivo l’estraneità del debito rispetto ai bisogni della propria famiglia) e del carattere derogatorio del divieto sancito dall’art. 170 c.c. rispetto alla regola generale della responsabilità patrimoniale del debitore, comportante l’assoggettabilità di tutti i suoi beni all’azione esecutiva del creditore ex art. 2740 c.c. anche se conferiti in un fondo patrimoniale.

Infatti il creditore che agisce in via esecutiva, in realtà, fa valere la responsabilità patrimoniale generica del debitore, non dovendo a tal fine provare nulla eccetto l’appartenenza della res al debitore stesso, spettando poi a quest’ultimo, se intende sottrarre i beni conferiti in un fondo patrimoniale all’azione esecutiva del primo, fornire la prova della sussistenza del divieto ex art. 170 c.c. avendone un personale interesse.

In questa prospettiva ermeneutica verrebbe meno la stessa necessità di ritenere sussistente una vera e propria presunzione di inerenza del debito ai bisogni della famiglia (presunzione che in realtà stenta a trovare una solida base normativa), spettando al debitore, secondo i principi generali, fornire la prova della fattispecie derogatoria prevista dal legislatore all’art. 170 c.c. quale fatto impeditivo ex art. 2697, comma secondo, c.c.; prova avente ad oggetto in particolare la regolare costituzione di un fondo patrimoniale, la sua opponibilità al creditore essendo state osservate le relative forme di pubblicità, l’estraneità del debito ai bisogni della famiglia e infine la conoscenza di tale estraneità da parte del creditore che agisce in via esecutiva sui beni ivi conferiti.

Secondo un orientamento giurisprudenziale l’onere probatorio, incombente sul debitore di provare  la conoscenza da parte del creditore dell’estraneità del debito contratto rispetto ai bisogni della famiglia del debitore, trova una specifica giustificazione sul piano processuale  nell’impossibilità per il creditore di fornire la prova di un fatto negativo, tale essendo la non conoscenza dell’estraneità del debito assunto rispetto ai bisogni della famiglia del debitore (Cass. civ., Sez. III, 15/03/2006, n. 5684).

Una seconda questione affrontata dalla sentenza in commento riguarda l’esatta interpretazione dei bisogni della famiglia, quale presupposto giuridico essenziale nella concreta operatività del divieto ex art. 170 c.c..

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte Suprema tale presupposto deve essere interpretato in modo particolarmente esteso tale da includere anche le esigenze volte al pieno mantenimento dell’armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse soltanto le esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da intenti meramente speculativi (ex plurimis, Cass. civ., 7.1.1984, n. 134; Cass. civ., Sez. I, 18/09/2001, n. 11683; Cass. civ., Sez. V, 07/07/2009, n. 15862; Cass. civ., Sez. III, 11.7.2014, n. 15886).

Una ulteriore spinta estensiva è stata data da una recente decisione della Corte di Cassazione secondo la quale i bisogni della famiglia sono da intendersi non in senso meramente oggettivo ma come comprensivi anche dei bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilità economiche familiari (Cass. civ., Sez. III, 19/02/2013, n. 4011).

In senso inverso sembrano invece  propendere  altre sentenze della Suprema Corte in cui viene evidenziata la necessità di accertamento giudiziale di una inerenza diretta ed immediata della fonte e ragione del credito – sia ex contractu che ex delicto – ai bisogni della famiglia, ricercando la relazione esistente tra questi ultimi e gli scopi per cui i debiti sono stati contratti (Cass. civ., Sez. III, 31/05/2006, n. 12998).

Si è in particolare affermato che le obbligazioni risarcitorie da illecito civile, così come quelle a titolo di sanzione pecuniaria di natura penale o amministrativa, devono ritenersi estranee ai bisogni della famiglia, siccome volte a riparare la lesione di un interesse giuridicamente tutelato o a scontare una sanzione, potendo rispondere il fondo patrimoniale solo nel caso di diretta relazione tra danno arrecato e vantaggio della famiglia e nei limiti di tale vantaggio (Cass. civ., Sez. I, 18/07/2003, n. 11230).

Sentenza del Tribunale di Reggio Emilia del 20.5.2015 n. 765

Fonte: Quotidiano giuridico.

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