Evasione fiscale, processo penale e tributario: vietato fare paragoni!

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Commissione Tributaria Provinciale Verbania, sez. I, sentenza 08.04.2014 n° 29 (Carlo Crapanzano)
Allegato
Non passa giorno (per usare una locuzione cara alla letteratura di ogni tempo) che un giudice penale non debba esaminare un reato di evasione fiscale contemporaneamente a un giudice tributario: stessi fatti, stessi soggetti. Ma spesso decisioni diverse e tra loro contraddittorie e inconciliabili.

In ossequio a un principio generale di ogni ordinamento giuridico che si rispetti, a una determinata condotta antigiuridica segue una valutazione dei fatti secondo legge e la eventuale conseguente sanzione. Ebbene, tale principio subisce una deroga (assurda e ingiustificata) per i reati di evasione fiscale. Stessi fatti, stessi soggetti, ma due giudici differenti che hanno entrambi piena cognizione e pieno potere decisionale sul fatto e sulla condotta.

Ma andiamo con ordine, ché il rischio è quello di ingenerare e aggiungere confusione a una materia che non brilla certo in limpidezza.

Il 14 gennaio 1929 fu pubblicata in Italia la Legge n. 4 (Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie). Ai fini della nostra breve disamina, ci interessa il quarto comma dell’art. 21 “Per i reati previsti dalle leggi sui tributi diretti l’azione penale ha corso dopo che l’accertamento dell’imposta e della relativa sovrimposta è divenuto definitivo a norma delle leggi regolanti tale materia”. Nasce formalmente la pregiudiziale tributaria.

Ben si comprende la portata innovatrice della norma in questione: il giudice penale non poteva e non doveva intraprendere alcuna iniziativa penale né tantomeno esaminare alcuna condotta potenzialmente illecita se prima non diveniva definitivo l’accertamento dell’imposta dovuta. Persino la prescrizione subiva una sospensione automatica, reiniziando a decorrere per i reati tributari solo se e solo quando diveniva definitivo l’accertamento.

La conseguenza ulteriore è di tutta evidenza: il giudice penale era assolutamente vincolato alla decisione già effettuata sull’accertamento e quest’ultima faceva stato nel procedimento penale. C’è voluta una sentenza della Corte costituzionale (la n. 88 del 1982) che dichiarasse illegittima la norma che per oltre cinquant’anni aveva fatto il buono e il cattivo tempo dei reati finanziari (il quarto comma dell’art. 21 della Legge 4/1929 è stato formalmente abrogato dall’art. 13, primo comma, del Decreto Legge 429/1982, convertito nella Legge 516/1982). Il legislatore, preso atto della decisione della Corte costituzionale, in sede di conversione del D.L. 429/1982, ha aggiunto dopo il primo comma che “L’azione penale ha corso anche in pendenza dell’accertamento di imposta..”: ecco la nascita del “doppio binario” e la morte della pregiudiziale tributaria.

Si badi bene, però, che la Legge 516/1982 non sanzionava condotte illecite effettive, ma solo comportamenti che a monte potevano essere potenzialmente lesivi di un interesse generale, enunciando una serie cospicua di condotte così formali che la semplice “dimenticanza” di un atto produceva effetti penali abnormi.

Ci sono voluti altri vent’anni di ordinaria ingiustizia per arrivare al D.Lgs. 74/2000 che ora sanziona condotte illecite effettive, tutte caratterizzate dal dolo specifico e dall’esclusione del tentativo.

Preme soffermarsi, ai fini della nostra breve disamina, sull’art. 19 primo comma (Principio di specialità) e sull’art. 20 (Rapporti tra procedimento penale e processo tributario) del D.Lgs. 74/2000.

Secondo il primo comma dell’art. 19, “Quando uno stesso fatto e’ punito da una delle disposizioni del titolo II e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale”.

Fin qui, sembrerebbe, non vi siano problemi interpretativi in riferimento all’art. 15 c.p. che sancisce il divieto di cumulo: in presenza di due sanzioni previste da leggi diverse, se ne deve applicare solo una e cioè quella speciale. Sembrerebbe, abbiamo detto. Eh sì, perché è tutt’altro che scontato individuare quale sia la norma speciale da applicare. Non solo. A causa del “doppio binario” tra giudice penale e giudice tributario, ognuno di loro, per i medesimi fatti e per i medesimi soggetti, può emettere una decisione totalmente diversa dall’altro giudice, con valutazioni contraddittorie e con contrasti evidenti di giudicati. Una aberrazione giuridica che vive giornalmente nel nostro sistema.

Per comprendere appieno la portata devastante di quanto analizzato, si ponga il caso che una commissione tributaria ritenga che la condotta di un soggetto, sanzionabile ai fini tributari, integri una condotta penale perché è stata superata la soglia di evasione che sposta la competenza da amministrativa a penale; in ossequio al principio di specialità non potrà irrogare la sanzione amministrativa perché il soggetto sarà presumibilmente condannato alla sanzione penale. Si ponga il caso, dunque, che la medesima condotta, in sede penale, non venga invece ritenuta dal giudice rilevante (perché ad esempio per il giudice penale, diversamente da quanto stabilito dal giudice tributario, non è stata superata la soglia di rilevanza penale): chi irrogherà la sanzione al soggetto che ha commesso la violazione? Nessuno. L’impunità in questo caso è sancita dal sistema. Valga il caso contrario: una commissione tributaria ritiene provato l’illecito amministrativo e non superata la soglia di rilevanza penale e sanziona il soggetto in sede amministrativa; il giudice penale, invece, ritiene che la soglia di rilevanza penale è stata superata e gli infligge la sanzione penale: il soggetto avrà subìto due condanne per la stessa condotta, con buona pace del principio di specialità (ne bis in idem nascosto?).

In tale contesto, si è pronunciata la Commissione Tributaria Provinciale di Verbania nella sentenza 29 febbraio 2014, n. 29 (dep. 8 aprile 2014 – presidente MARTELLI, relatore BERTOLO). Nell’analizzare le condotte di soggetti che avevano subìto un procedimento penale per la violazione degli artt. 2 e 4 del D.Lgs. 74/2000, la Commissione Tributaria rivendica con forza la sua competenza. I soggetti in questione, con sentenza GUP sono stati assolti perché il fatto non sussiste. Per la Commissione Tributaria tale decisione è praticamente irrilevante. Innazitutto la Commissione rivendica la assoluta indipendenza dei due procedimenti secondo l’art. 20, D.Lgs. 74/2000; in secondo luogo, lucidamente il relatore evidenzia che, vista anche la diversità strutturale e processuale dei due giudicanti (penale e tributario), elementi ritenuti utili dall’uno possono non esserlo per l’altro. Il relatore BERTOLO si sofferma ad esempio sulla inesistenza della prova testimoniale nel processo tributario invece prevista nel processo penale ed evidenzia, con analisi assolutamente condivisibile, che fintanto che non vi sarà una sostanziale equiparazione dei due procedimenti anche a livello processuale, è “vietato fare paragoni”. Decisione coraggiosa che senza usare mezzi termini rivendica non solo l’indipendenza dei giudizi, ma anche l’indipendenza delle valutazioni sulla condotta, rimarcando che il giudice tributario proprio perché ha una preparazione professionale specifica e completa, dovrebbe ritenersi “prevalente” nel giudizio sulla condotta rispetto al giudice penale.

Come sempre, vista la assurda e delicata situazione per la quale vi sono ben due giudici per la stessa condotta, ci si affida al buon senso di chi, nell’applicare norme di legge, debba equilibrare sia le esigenze processuali che sostanziali di tutti i soggetti coinvolti.

Con buona pace del principio dell’unità della giurisdizione, è auspicabile un intervento legislativo, che ovviamente non arriverà.

FONTE : ALTALEX.COM

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