È ammissibile la risoluzione consensuale del fondo patrimoniale da parte dei coniugi che l’hanno istituito, anche se la legge non prevede espressamente la cessazione consensuale del fondo patrimoniale. Se però si tratta di coniugi con figli minorenni, anche solo nascituri, per cessare validamente il vincolo del fondo patrimoniale occorre pure il consenso di costoro. È quanto deciso dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 17811 dell’8 agosto 2014. Il caso è interessante (e sorprendente) perché affronta sotto un aspetto nuovo (la necessità del coinvolgimento dei figli minorenni) un antico e controverso tema, e cioè se il fondo patrimoniale sia consensualmente risolubile. Anche recentemente, ad esempio, si è assistito a un confronto “a distanza” (tra il tribunale dei Minorenni di Ancona e il Tribunale di Milano): secondo i giudici marchigiani (decreto 19 marzo 2013) non si potrebbe far luogo alla cessazione volontaria del fondo, prassi invece ripetutamente ammessa dai giudici lombardi, da ultimo, appunto con un decreto del 6 marzo 2013. Infatti, per la corte di Ancona, il fondo patrimoniale può essere cessato solo nelle ipotesi di cui all’articolo 171, comma 1, del codice civile e cioè nei casi «di cessazione ex tunc o ex nunc degli effetti civili del matrimonio. È, infatti, da ritenersi sottratta alla volontà contrattuale dei genitori la possibilità di far cessare il fondo patrimoniale, dopo che siano nati dal matrimonio dei figli, in quanto la presenza di questi ultimi nella famiglia imporrebbe comunque di considerare pregiudizievole ai medesimi la cessazione del fondo». Secondo il Tribunale di Milano, invece, l’articolo 171 del Codice civile disciplina solo le fattispecie di cessazione «legale» del fondo, con la conseguenza che è ammissibile la cessazione volontaria del fondo patrimoniale per mutuo consenso dei coniugi, e ciò anche se vi siano figli minorenni: non si può impedire la cessazione del fondo patrimoniale poiché non vi sono norme di legge in tal senso e l’autonomia privata dei coniugi in questo ambito è sovrana. Con la sentenza n. 17811 la Cassazione accoglie dunque il “principio milanese”, ma con due rilevantissime precisazioni: non solo con l’affermazione che, se vi sono figli minori, occorre pure il consenso di questi ultimi (i quali, evidentemente, devono essere rappresentati da un curatore speciale, all’uopo autorizzato dal giudice tutelare); ma anche con l’affermazione che andrebbe raccolto pure il consenso del figlio concepito ma non ancora nato. Se, in punto di diritto, si tratta di questioni senz’altro intriganti, dal punto di vista della pratica professionale quotidiana non può non nascere un senso di stupore alla lettura delle motivazioni della sentenza. Non solo perché nella legge positiva non vi è traccia di questo consenso e non solo perché nella sentenza non si pone alcuna riflessione sul caso del fondo nel quale sia vincolato un solo bene, alienato il quale del fondo stesso, di fatto, non rimane nulla; e non solo perché viene spontaneo domandarsi come si possa – di fatto – accertare l’esistenza o meno di figli nascituri.
Sotto quest’ultimo profilo, inoltre, è vero che i figli nascituri ricevono rilevanza e tutela giuridica in svariate situazioni: in particolare, il diritto alla tutela della loro salute, il diritto al risarcimento del danno da essi eventualmente patito, il diritto a ricevere donazioni ed essere beneficiari di una successione ereditaria. Però, mentre nel codice civile si parla espressamente di queste due ultime ipotesi (la donazione e la successione), non vi è invece traccia, come già sopra osservato, della necessità di un loro consenso se i genitori intendano sciogliere il fondo patrimoniale. Ora, affermare che la legge si presta a questa interpretazione getta indubbiamente nello scompiglio la contrattazione dei beni che fossero vincolati nel fondo poi sciolto: temendo la presenza di nascituri (e il loro mancato consenso) difficilmente una banca li vorrà prendere come garanzia ipotecaria e un acquirente li comprerà volentieri.
Fonte : ilsole24ore.it