Genitori ostaggi dei figli. All’asilo.

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Ogni anno, alla ripresa di nidi e scuole materne, padri e madri sono chiamati a restare in classe almeno due ore al giorno per un paio di settimane, evitando traumi ai bimbi. Ma ora le famiglie protestano: “Costretti a prendere ferie. E i piccoli diventano bamboccioni”

La rivolta viaggia online, ma anche nei “caffè delle mamme”, quei bar di quartiere dove si tira il fiato per un attimo insieme alle altre: “Per me è già il sesto giorno, non ne posso più, ho finito le ore di permesso”. “Domani mando mio marito, sono sicura che saranno più gentili”. Alle madri italiane non piace l’inserimento all’asilo nido e alla scuola materna, quelle due, eterne settimane di inizio anno durante le quali viene chiesto che un genitore si fermi insieme al bimbo. Una pratica che può far perdere fino a un mese di asilo: il servizio parte a metà settembre, e i bambini non possono essere inseriti tutti insieme, quindi per qualcuno l’inizio “vero” arriva il 15 ottobre. Ciliegina sulla torta, ora l’inserimento ha cambiato nome: si chiama “ambientamento”, secondo le più moderne linee di ecologia dello sviluppo umano. Ma la disputa non è solo teorica: non ci sono permessi contrattuali per questo genere di assenze, e solo una piccola parte di dipendenti pubblici riesce a conciliarle con l’orario senza dover erodere le ferie.

“Ogni anno fioccano le lettere – dice Marta Vitale di “Giovani Genitori”, mensile distribuito a Torino e Milano – In teoria, tutti siamo favorevoli alla gradualità, in pratica se non hai qualcuno che ti dia il cambio è quasi impossibile accompagnare il figlio, o peggio i figli, per due settimane”. E c’è Stefania, da Bologna che profetizza: “È così che li facciamo diventare dei bamboccioni. Mia figlia dopo due settimane si è convinta che andare all’asilo con la mamma fosse una scelta come un’altra, e ha continuato a chiedermelo tutto l’anno. Alla fine la cattiva ero io”.

Perché se è vero che ogni bambino è diverso, e c’è quello che al decimo giorno piange ancora disperato e quello che al secondo vorrebbe restare da solo con i nuovi amichetti, il regolamento non è elastico: le norme sull’ambientamento sono inserite nei regolamenti delle singole città (nidi e materne sono in gran parte comunali), e spesso anche in quelli delle singole statali o paritarie. Il periodo di presenza di un genitore è indicato come obbligatorio, e modularlo spetta al buon senso di dirigenti e maestre. Ma in un’Italia dove la crisi ha già portato circa 9.000 bambini a rinunciare al nido in due anni, anche la prova delle due settimane di presenza a scuola sta diventando sempre meno pacifica. “Non so neppure dove sedermi – si sfoga Manuela B., commessa in un supermercato della cintura ovest di Torino – perché alla materna le seggiole sono alte 40 centimetri. La prima settimana abbiamo cominciato con un’ora, poi a casa tutte e due. Il pranzo è arrivato solo il settimo giorno. E intanto io devo lavorare il sabato e la domenica. Ma perché non me ne sto a casa con lei, punto e basta?”. “I bambini hanno diritto a essere accompagnati nei primi momenti, e i genitori hanno diritto di vedere in che modo saranno accuditi. Ma bisogna evitare che questo diventi una discriminazione, penalizzando chi fa più fatica a assentarsi dal lavoro”.

Daniela Del Boca, docente di economia politica al Carlo Alberto di Torino, autorevole studiosa di sistemi di welfare per l’infanzia, sottolinea come il fenomeno sia soprattutto italiano: “Negli Stati Uniti, lo si fa per qualche giorno, in altri paesi, come Gran Bretagna e Francia, si salta del tutto. In Italia, l’idea corrente è che almeno per il primo anno di vita il bambino stia bene solo con la mamma, o tutt’al più con i nonni, e comunque nei suoi spazi privati e protetti”. Aldo Fortunati, responsabile dell’area educativa dell’Istituto degli Innocenti di Firenze, prova a portare una parola di buon senso: “L’ambientamento è nato per aiutare i bambini, è doveroso quando si parla di nido ed è positivamente stato adottato anche nelle materne. Poi, certo, si deve tenere conto anche dei problemi delle famiglie. Una settimana dovrebbe essere sufficiente”. Parole sagge. Ma la protesta continua: “Alla scuola inglese di Milano mi sono fermata la prima mezz’ora, poi mi hanno gentilmente mandata via”, scrive Barbara Catania. Stesse testimonianze dalla francese di Torino. Mamme arrabbiate, insomma, e forse con qualche ragione.

Fonte : REPUBBLICA.IT

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