LA RIABILITAZIONE DEL FALLITO NEL DISEGNO DI RIFORMA

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LA RIABILITAZIONE DEL FALLITO NEL DISEGNO DI RIFORMA*

di Massimo Giuliano, avvocato studio legale e commerciale Giuliano & Di Gravio

La cancellazione del marchio di infamia, che, oggi, anche dopo la chiusura del fallimento, segue il fallito, è il comune denominatore che accompagna gli ultimi progetti di riforma della legge fallimentare che si susseguono e rincorrono da circa due anni1. L’ultimo provvedimento, destinato ad operare, se non una radicale, quantomeno una sostanziale riforma della legge fallimentare, è il testo messo a punto dai ministeri giustizia ed economia, coproponenti, in attuazione della legge competitività n. 80/2005, che, come sappiamo, ha già introdotto, riformandoli, gli istituti della revocatoria e del concordato preventivo2. Il testo di legge destinato ad essere approvato nelle prossime settimane, e comunque non oltre l’ 11 novembre, data di scadenza della delega contenuta nel decreto legislativo n. 80 del 2005, ha se non altro il pregio di aver mantenuto, rispetto ai precedenti progetti di legge, l’identica ratio ispiratrice ponendo la tutela dell’impresa al centro del sistema normativo, disincentivandone la liquidazione, favorendo le ipotesi transattive e, in tale contesto, facendo decadere tutta una serie di limitazioni e incapacità che, per il solo fatto dell’insolvenza, – seguita dalle relativa sentenza dichiarativa – colpivano l’imprenditore. Senza compromessi il decreto di riforma della legge fallimentare elimina definitivamente il pubblico registro dei falliti, disciplinato dall’art. 50 l.f.3, dalla cui menzione del nome dell’imprenditore fallito si fanno dipendere le incapacità personali, della cui legittimità costituzionale dottrina e giurisprudenza hanno per anni discusso in accesi dibattiti.

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