Ricorso contro il riclassamento.

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Una motivazione carente può portare all’annullamento dell’atto

Il contribuente che riceve un atto di accertamento catastale con cui è rettificato il classamento dell’immobile deve valutare attentamente la motivazione dell’atto. L’atto di attribuzione di un nuovo classamento, recante aumento della rendita catastale, deve infatti ritenersi illegittimo quando non dia conto delle ragioni giuridiche e dei presupposti di fatto sulle cui basi la rendita catastale dell’immobile è stata variata.

Secondo giurisprudenza consolidata della Suprema Corte, quando procede all’attribuzione d’ufficio di un nuovo classamento a un’unità immobiliare a destinazione ordinaria, l’Amministrazione Finanziaria deve specificare se tale mutato classamento è dovuto a trasformazioni specifiche subite dall’unità immobiliare in questione, oppure a una risistemazione dei parametri relativi alla microzona, in cui si colloca l’unità immobiliare. Nel primo caso, l’Agenzia deve indicare le trasformazioni edilizie intervenute. Nel secondo caso, deve indicare l’atto con cui si è provveduto alla revisione dei parametri relativi alla microzona, a seguito di significativi e concreti miglioramenti del contesto urbano. Ciò rende possibile la conoscenza dei presupposti del riclassamento da parte del contribuente (ex multis: Cass. sentenze n. 4507/09, n. 9629/12 e n. 19656/13). Deve quindi ritenersi illegittimo il comportamento dell’Amministrazione Finanziaria che abbia provveduto al riclassamento affidando la motivazione dell’atto all’enunciazione dei meri dati catastali. Una motivazione di questo tipo è infatti “astratta”, poiché fondata su mere ipotesi non avvalorate da indicazioni circa la qualità e lo stato dell’immobile oggetto della variazione e dei luoghi circostanti. Di conseguenza l’atto non soddisfa l’obbligo di motivazione.

Anche in tema di procedura DOCFA (D.M. 19 aprile 1994, n. 701), la Cassazione è ferma nel ritenere che tutta l’attività amministrativa debba comunque sottostare all’obbligo di esporre i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Ufficio. Il classamento di un’unità immobiliare a seguito della procedura DOCFA deve quindi specificare gli elementi che spieghino perché la proposta del contribuente è stata rifiutata. Con la recente sentenza n. 3394/14, la S.C. ha sostenuto che “l’atto con cui l’amministrazione disattende le indicazioni del contribuente circa il classamento di un fabbricato deve contenere una adeguata – ancorché sommaria – motivazione che delimiti l’oggetto della successiva ed eventuale controversia giudiziaria”. Nell’occasione, gli Ermellini muovono una critica al sistema catastale italiano laddove osservano che “il classamento non è oggi disciplinato da precisi riferimenti normativi: la legge si limita, infatti, a prevedere la elaborazione di un reticolo di categorie e classi catastali e demanda la elaborazione (…) all’Ufficio tecnico erariale” il quale precede “sulla base di istruzioni ministeriali anche piuttosto risalenti nel tempo. (…) Dunque l’Ufficio non può limitarsi a comunicare il classamento che ritiene adeguato, ma deve anche fornire un qualche elemento che spieghi perché la proposta avanzata dal contribuente con il Docfa viene disattesa”.

La variazione della proposta fatta per mezzo della procedura DOCFA avviene attraverso un procedimento caratterizzato da peculiari presupposti e dettagliate procedure di cui non è possibile che non sia dato esplicito conto nel provvedimento terminale della procedura, onde consentire al contribuente, che non vi abbia preso parte attiva, “di conoscere i presupposti del riclassamento, di valutare l’opportunità di fare o meno acquiescenza al provvedimento e di approntare le proprie difese con piena cognizione di causa, nonché per impedire all’Amministrazione, nel quadro di un rapporto di leale collaborazione, di addurre in un eventuale successivo contenzioso ragioni diverse rispetto a quelle enunciate” (v. Cass. 15495/13). Di conseguenza, se il contribuente si oppone alla rettifica, in variazione della proposta fatta a mezzo DOCFA, l’Amministrazione è tenuta a dare concretamente conto delle ragioni attributive della rendita e della classe, mentre al giudice tributario spetta valutare, con motivazione adeguata, l’idoneità dei dati forniti dall’Ufficio a sostegno della pretesa. È onere della parte pubblica provare nel contraddittorio giurisdizionale con il contribuente gli elementi di fatto giustificativi della propria pretesa nel quadro del parametro prescelto, salva la facoltà del contribuente di fornire la prova contraria (cfr. Cass. n. 16824/06, n. 5404/12 e n. 15495/13).

Autore: Redazione Fiscal Focus
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